Napolitano e Fini mettono paletti
Uno chiede di «rispettare gli equilibri». E l'altro ribadisce che «serve un Parlamento forte». Giorgio Napolitano e Gianfranco Fini pongono i loro paletti alle riforme istituzionali che sta preparando Silvio Berlusconi. Riforme che comprenderanno anche un profondo cambiamento soprattutto della giustizia. Il primo a intervenire è il presidente della Repubblica che in una lettera inviata al presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura, Maurizio De Tilla, auspica che le riforme della giustizia avvengano nel «rispetto di corretti equilibri istituzionali». E aggiunge: «In più occasioni ho ricordato l'insostituibile ruolo che l'avvocatura svolge a tale riguardo come protagonista essenziale del sistema giustizia e come "filtro naturale" tra cittadini e tribunali». «In questo spirito di comune appartenenza e di apertura al dialogo - ricorda il presidente - si colloca il "Patto per la giustizia" stipulato con l'Associazione nazionale magistrati e gli altri operatori del settore. Con questo stesso spirito, pragmatico e costruttivo, saranno certamente esaminate, nelle varie sessioni della conferenza, anche le problematiche connesse al riconoscimento della rilevanza costituzionale del ruolo dell'Avvocatura, nonché alla revisione dell'ordinamento forense e della regolamentazione della magistratura "laica"». Dunque un intervento equidistante. Che contiene un invito rivolto agli avvocati di considerare anche le richieste che arrivano dai magistrati. Nelle stesse ore Fini si trova a parlare davanti alla platea degli ex parlamentari. E proprio a loro spiega: «La democrazia è forte quando il Parlamento è forte». Ma perché il Parlamento sia forte, aggiunge, non basta che esso abbia «efficaci poteri di intervento»; serve anche una «considerazione sociale che spetta, in primo luogo, a chi ne è stato ed a chi ne è tutt'ora membro». In altre parole non si può considerare il Parlamento un inutile orpello, né lo si può attaccare per i suoi tempi. Anche se non citato è facile immaginare si riferisca a Berlusconi che in passato, l'ultima è accaduto all'assemblea di Confindustria nel maggio scorso, ha lanciato le sue accuse contro le Camere. Il discorso di Fini non è casuale. Tanto che più tardi, tenendo una lectio magistralis sui diritti umani, sostiene che il Parlamento «deve recuperare la sua funzione centrale attraverso il libero e ampio confronto». Lo stesso presidente della Camera si rende conto che gli scontri tra destra e sinistra certamente non finiranno dall'oggi al domani. Il clima però è diverso, se ne rende conto anche Fini. Che non a caso prova a raccogliere. Tanto che ci tiene a rimarcare come quando si parla di riforme «occorre riscoprire e valorizzare il sentimento di una comune appartenenza», così accadde con la Costituzione, quando «si ebbe la consapevolezza» della realizzazione del «perimetro della casa comune di tutti gli italiani». E su questo punto l'asse non è più a due ma, forse per la prima volta dall'inizio della legislatura, è a tre. Anche il presidente del Senato, in maniera decisiva, spinge per una riapertura del dialogo: «Riformare la giustizia - dice - è un compito alto e difficile, non dobbiamo e non possiamo arroccarci su posizioni precostituite. Non servono e non possono essere eretti muri che impediscono il libero confronto. A ciascuno verrà chiesto di fare la propria parte e noi siamo pronti a farla». In quel solco, ovvero nel solco di una sorta di pressione nei confronti dell'opposizione, si muove anche Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl, che aggiunge: «Nelle riforme bisogna ricercare la condivisione ma non si può impedire la decisione. Il Pdl ha un'attenzione prioritaria sulle riforme e ritiene che l'elezione diretta dei vertici di governo, la riduzione del numero dei parlamentari, il federalismo, la giustizia e altri temi, siano maturi».