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"Emanuela Orlandi è morta"

Un manifesto con l'immagine di Emanuela Orlandi

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Un nome e un volto. Dopo ventisei anni il fascicolo sulla scomparsa di Emanuela Orlandi si arricchisce di un indagato. Un uomo collegato a quel Renatino De Pedis che la supertestimone Sabrina Minardi indica come l'autore del sequestro della figlia del commesso pontificio. La svolta dopo la testimonianza di Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano, resa al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al pm Simona Maisto. «Emanuela è morta», ha detto la donna del boss, uccisa e gettata in una betoniera a Torvajanica. Ma cosa più importante e assoluta novità il fatto che la donna abbia riconosciuto il «telefonista». Quel Mario che chiamò l'abitazione in Vaticano degli Orlandi il 22 giugno 1983, sei giorni dopo la scomparsa di Emanuela. «Loro lo sanno, me ne sono andata perchè ho una vita piatta, troppo comune. Loro lo sanno, gliel'ho detto che me ne andavo», disse «Mario» riferendo le frasi che avrebbe detto Emanuela Orlandi, in un passaggio del nastro registrato della telefonata fatta alla famiglia dell'impiegato vaticano. Circostanze che la Minardi aveva già messo a verbale lo scorso anno alla squadra mobile di Roma ma il suo racconto presentava alcune lacune e alcune contraddizioni. La donna fece un racconto molto confuso, mischiando ricordi e cocaina, sconvolta anche dal fatto che sua figlia era stata direttamente coinvolta nell'uccisione di due ragazzi, travolti da un'auto sulla via Nomentana guidata a folle velocità dal suo fidanzato tossicodipendente. La Minardi riferì sostanzialmente che lei e De Pedis avevano consegnato la ragazza a «uno che sembrava un sacerdote: scese da una Mercedes targata Vaticano e prese la ragazza». Somigliava a Emanuela «'sta ragazzina, era confusa, non stava bene, piangeva e rideva». L'ordine di rapire Emanuela «era partito da alte vette...tipo monsignor Marcinkus, quello dello Ior», con cui De Pedis era in affari e riciclava i soldi dei sequestri. Il racconto fatto ieri dalla donna viene ritenuto attendibile dagli inquirenti che nei mesi scorsi hanno già effettuato riscontri sia sulla identità del telefonista, sia alle circostanze spiegate dalla ex amante di De Pedis. La donna, con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, ha anche corretto alcune incongruenze temporali fatte nel suo primo racconto come quella che si riferisce alla sparizione del figlio di un boss della banda della Magliana, Domenico Nicitra, figlio di Salvatore. Il bambino, 11 anni, sparisce il 21 giugno del 1993 insieme allo zio Francesco, una decina di anni dopo la vicenda Orlandi. «Mario» ha quindi un'identità ed è stato iscritto nel registro degli indagati. Il suo nome lo aveva già fatto Antonio Mancini, l'«accattone», pentito della banda. Un uomo molto noto negli ambienti della «Magliana». Il «telefonista» è un personaggio che stava dietro le quinte. Non un killer ma un colletto bianco. E sono diversi i nomi di personaggi collaterali alla vita della Banda della Magliana che compaiono tra le pieghe di questa inchiesta riaperta dalla pignoleria della Squadra Mobile romana diretta da Vittorio Rizzi. Un caso irrisolto al quale gli investigatori stanno dedicando tempo e risorse per venirne a capo. E qualcosa si sta muovendo. Difficile risalire al luogo di sepoltura di Emanuele Orlandi. Sabrina Minardi la donna che ha raccontato di essere stata la carceriera della giovane non è riuscita a indicare con precisione quel cantiere dove De Pedis il suo autista, «Sergio» gettarono nel cemento il corpo di Emanuela Orlandi. Torvajanica in 25 anni ha visto mutare il suo assetto urbanistico con una cementificazione selvaggia. Ma molti dettagli stanno tornado alla luce. Scoperto il bunker nel sottosuolo di Monteverde per anni rifugio di latitanti. Nuove ville e case tra il Gianicolo, Campo de' Fiori e Portuense altrettante basi dei criminali. Ritrovata la Bmw verde usata per trasferire Emanuele Orlandi: da anni era abbandonata nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese. Dettagli di un puzzle che prende forma. Regista il boss De Pedis. Manovali i suoi fedelissimi, giovani promesse del crimine romano che negli anni sono riusciti a dileguarsi. A far perdere le loro tracce. Anche ai loro vecchi compari. Coinvolti anche esponenti della Magliana che hanno scontato i loro reati e ora sono tornati liberi. Qualcuno nel frattempo è morto. L'inchiesta però non si ferma e Procura e squadra mobile sono intenzionati a venirne a capo.  

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