Sconfitto il partito dei "tifosi" delle urne
Alcuni hanno usato le elezioni come una minaccia per evitare brutte sorprese. Altri le hanno evocate come fine ovvia di un percorso di progressivo logoramento del governo. Altri ancora hanno semplicemente «tifato» perché accadesse. Perché Silvio Berlusconi decidesse di dimettersi richiamando gli italiani alle urne. Ed è inutile nascondersi che è anche un po' colpa di questi «tifosi» se oggi, in Italia, si respira un clima insopportabile. Se appena si apre una discussione politica all'interno del Pdl subito comincia ad aleggiare il fantasma del volto. Ma questi «tifosi» del tanto peggio tanto meglio, ancora una volta, tornano a casa sconfitti. Il premier ha rispedito al mittente l'ipotesi di una fine prematura della legislatura. Con buona pace de Il Giornale che ancora ieri titolava in prima pagina: «Silvio ha deciso. Tutti a casa». In fondo sono stati proprio il quotidiano diretto da Vittorio Feltri, assieme a Libero, i più grandi sostenitori del ritorno immediato alle urne. Fin dallo scorso 7 ottobre quando, dopo la bocciatura del Lodo Alfano, Maurizio Belpietro lanciò un messaggio inequivocabile: «Silvio reagisci. Facci votare». E non è un caso che appena due giorni fa, rilanciando lo stesso concetto (titolo: «Silvio, chiudi il teatrino») Libero abbia riproposto proprio quella prima pagina. Va da sé che, su entrambi i fronti, la richiesta o il desiderio di elezioni anticipate sia stato spesso accompagnato da ricostruzioni più o meno attendibili su i complotti di Gianfranco Fini e del suo «sodale» Giorgio Napolitano. Ma Feltri e Belpietro non sono stati i soli a credere in un «colpo di testa» del Cavaliere. Ieri anche il Corriere della Sera non aveva dubbi in proposito, mentre già da tempo si cullano su questa illusione i giornali vicini all'opposizione. A settembre, ad esempio, Il Riformista descriveva un Berlusconi pronto a mandare tutto all'aria o comunque in bilico tra un accordo con l'Udc (strada preferita dalle «colombe») e un ritorno alle urne (ipotesi propugnata dai «falchi»). Dopotutto Pd, Udc e Idv hanno sicuramente tutto da guadagnare da un plateale fallimento del governo. Anche se in verità l'unico a spingersi fino alla richiesta di dimissioni del premier, per ora, è stato Antonio Di Pietro. Mentre gli altri si sono limitati a dichiararsi pronti per le elezioni, ogni volta che un esponente della maggioranza ha buttato lì l'idea. E ce ne sono stati diversi. Dal ministro Renato Brunetta ad alcuni degli uomini più vicini al premier come Mario Valducci, Gaetano Quagliariello e Giorgio Stracquadanio che ancora ieri, sul Corriere della Sera, spiegava: «Siamo alla resa dei conti. O si chiariscono le cose una volta per tutte, o il Pdl si spacca e si va a votare». È ancora presto per dire se nella maggioranza sia tornato il sereno, ma una cosa è chiara, Berlusconi ha risposto a tutti coloro che, in questi mesi, gli hanno chiesto di far saltare il banco: tranquillizzatevi, questo governo va avanti.