L?intervento
Isuoi raffinati esegeti, quelli che su Silvio la sanno più lunga di Silvio, hanno intravisto in questa ipotetica intenzione la riproposizione dello spirito barricadiero e gaiamente sovversivo del «predellino»: come due anni fa, Berlusconi avrebbe preannunciato una catastrofe politica per risorgere più forte di prima. E come due anni fa, gli esegeti ultra-vedenti, ovvero gli ultras che vedono lontanissimo nei voleri anche non voluti del Presidente del Consiglio, per lo più di stanza a Milano, hanno cominciato a dettare l'agenda delle decapitazioni: caccia quello lì, dimetti quell'altro lì, liberati di Tizio Caio e Gianfranco, ritorna dal popolo sovrano e fatti rincoronare. Esattamente come due anni fa, quando gli ultra-vedenti consigliavano a Berlusconi di fare piazza pulita di ogni dissenso, ogni voce critica, ogni parola in libertà. Tutti pronti, i fucili schierati e i titoloni puri. E la riprova erano le parole del solitamente misuratissimo Presidente del Senato, Renato Schifani, che invero – secondo noi comuni mortali ipo-vedenti – aveva pronunciato il giorno prima parole più che condivisibili, ovvero che se una maggioranza fa acqua è meglio andare alle elezioni. Ma ogni pensiero deve essere rimodellato e manipolato nella centrifuga del retroscena, e dunque le parole di Schifani sono state subito interpretate come l'appropriazione ventriloqua, invero pure questa poco rispettosa verso la seconda carica dello Stato, di un'ipotetica intenzione berlusconiana dettata, nell'ordine, da: rabbia, sfiducia negli alleati, stanchezza, stress, spazientimento, paura di un colpo gobbo della magistratura. A Milano, dove evidentemente il ritmo della politica gira con un fuso anticipato rispetto a ciò che accade a Roma, la sentenza, dicevamo, era stata pronunciata: pollice verso, si va a votare, torna lo spirito del predellino, hasta la victoria. Addirittura qualcuno ha ipotizzato che l'alleanza con Storace e la Santanché per le regionali fosse il congegno per liberarsi di altre presenze frondiste. Tutto come due anni fa, più o meno. I raffinati esegeti ultra-vedenti del predellino, però, si sono dimenticati di ciò che accadde anche due anni fa dopo il proclama berlusconiano: Silvio acquattò subito falchi, falchetti e galli cedroni, si sedette al tavolo e costruì il PdL come cartello elettorale poi destinato, nel giro d'un anno, a farsi partito, anche con quelli che qualche editoriale ultra-vedente della marca meneghina aveva consigliato di mandare a ramengo. Perché gli ultras, anche se ultra-vedenti, anche se con la bocca sbavata dalle buone intenzioni, sono una cosa, la politica quotidiana, che logora chi non la fa, è un'altra. E allora, se la politica che alla fine conta è quella che si fa con le dichiarazioni ufficiali, quella nota che comunica nero su bianco che Berlusconi ha «mai pensato a elezioni anticipate», che la maggioranza è solida e vuole governare fino alla fine della legislatura per attuare il programma di governo, ebbene questa nota potrà pure attivare il solito ragionamento che Berlusconi dice una cosa in pubblico ma in realtà ne pensa un'altra, e dunque il capitolo elezioni è rimandato solo tatticamente. Potrà accadere questo, su qualche prima pagina, ma forse è accaduto altro: che, così come due anni fa, dopo lo slancio del predellino, le ragioni della politica e dell'aritmetica ebbero la meglio sul furore di qualcuno dalla pretesa d'essere berlusconiano più di Berlusconi, anche questa volta la ragione ha ammansito le passioni, e il premier forse – forse - ha capito che le elezioni anticipate sarebbero prima di ogni altra cosa una sconfitta, una catastrofe simbolica, un azzardo competitivo per lui. Per la maggioranza. Per il governo. E pure per il berlusconismo, che è promessa di buon governo e non di una guerra infinita.