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Una decisione contraria alla religione della libertà

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Di buone intenzioni son piene le fosse. Il ministro Maroni nel tener duro sulla tessera del tifoso è certamente animato da finalità esemplari e condivisibili, in primo luogo quella di restituire gli stadi alle famiglie ed ai pargoli, strappando qualche metro agli eserciti organizzati del De Bello pallonaro. Tuttavia, la tessera coatta ferisce la religione della libertà, visto che va ad insidiare la libera opzione di seguire la squadra del cuore. Forse, esistono altri modi per disarmare i violenti e quanti non sentendosi sicuri della propria virilità, affidano il loro essere maschi a bastoni e mazze di materiale allo trio e non naturale. No alla tessera, dunque. Altrimenti, se passa il precedente per il football, allora si apre uno sprofondo totalitario senza fine, con tanto di speciali passaporti per andare al cinema, al teatro, in discoteca, financo a via Gradoli o nella casa aperta o chiusa delle amanti normali, magari solo donne. Dico «totalitario», visto che il comunismo realizzato si macchiò di tutti i crimini, compreso quello di imporre ai cittadini-sudditi il doppio passaporto, quello esterno e quello interno. Senza la tessera per gli spostamenti interni, chiunque fosse andato da Mosca a Saratov o a Pskov sarebbe incorso in un reato gravissimo, con tanto di arresto, torture e anni di galera. Non mi sta bene, insomma, che un domani un poliziotto mi possa fermare e chiedere: perché è venuto a Vitorchiano? Ce lo ha il permesso? Questa tessera del tifoso mi pare, perciò, soluzione abnorme, incongrua ed estranea ad una liberaldemocrazia, che dovrebbe essere capace di affrontare i problemi dell'ordine pubblico senza il coprifuoco ed i cavalli di frisia. D'altra parte, con questi provvedimenti, si finirà per svuotare del tutto gli stadi di calcio. Non paia soltanto una questione economica o sentimentale, ma l'Olimpico deserto è l'icona di uno sport destinato a morire, per lasciare il posto a qualcosa di assai diverso. Uno che palleggia in camera sua non configura sport, bensì passatempo, gioco, prova di abilità. Quella stessa performance può ascendere dal mero privato, sino a meritarsi la definizione di «sport»? Certo, basta che siano fissate le regole, che ci sia l'arbitro e che il pubblico assista. Gli spettatori, infatti, non sono soprammobili, bensì elemento attivo e fondante della bella cosa chiamata «sport». In quanto, poi, ai bulletti della domenica - ma, ormai, anche dei giorni feriali - forse basterebbe esortarli a nutrire più fiducia negli strumenti loro donati da madre Natura, rinunciando alle protesi lignee o metalliche per sentirsi maschi. Invece della tessera, diamo loro, per soli dieci euro, buoni-spesa per l'acquisto di dieci confezioni di viagra. Lavorare stanca, più in alcova che in miniera; in più rilassa, dispone al sorriso e al rispetto degli altri. Fare l'amore è sempre meglio che fare la guerra.

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