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Sparito il taglio delle tasse

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Giulio Tremonti

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È il capitolo finito nel cassetto: il taglio delle tasse. Logicamente quando Silvio Berlusconi sfoderò, a fine febbraio del 2008, il suo programma in sette punti, titolato «Rialzati Italia», non poteva immaginare che la sua terza elezione a presidente del Consiglio sarebbe coincisa con l'avvento della più grande crisi economica mondiale seconda solo a quella del 1929. E, di certo, non poteva nemmeno pensare che il 6 aprile 2009, poco prima di festeggiare il primo anno di governo, un terremoto avrebbe distrutto L'Aquila. Eppure, nonostante tutto questo, molte promesse è riuscito a mantenerle. Tante tra le quali però non compare quella fondamentale: la riduzione delle tasse. In campagna elettorale Berlusconi lo aveva ribadito più volte: «Meno tasse sulla famiglia, sul lavoro, sulle imprese». Un argomento che riesce sempre a fare breccia nel cuore degli elettori, soprattutto se vengono da due anni di tartassamenti da parte di un ministro dell'Economia, com'era Tommaso Padoa Schioppa, che sosteneva: «Pagare le tasse è bellissimo». Purtroppo però questa promessa elettorale è rimasta lettera morta. Certo, appena arrivato al governo Berlusconi ha fatto in modo di dare seguito ad alcuni punti del suo programma. La prima missione per esempio sosteneva, tra le altre cose, che «i premi di produttività e gli straordinari vanno liberati da qualunque tassa». Detto, fatto. Stessa sorte per l'Iva che ora le imprese verseranno solamente dopo aver incassato la fattura e non, a prescindere, come avveniva prima.   Ma che fine hanno fatto gli altri propositi contenuti nello stesso capitolo come quello di una «graduale e progressiva abolizione dell'Irap»? Al Senato un tentativo, in questa direzione, c'era stato, purtroppo però è stato affossato con il voto d'astensione arrivato da alcuni banchi della stessa maggioranza. Si pensava addirittura di poter pagare i quattro miliardi di costo dell'operazione trasformando i sussidi a fondo perduto corrisposti alle imprese con aggevolazioni fiscali date dopo l'effettiva apertura dell'azienda. Non è ancora detta l'ultima parola, visto che manca il giudizio della Camera sul progetto, ma per ora la promessa è rimasta tale. Al secondo punto si parlava di «abolizione dell'Ici sulla prima casa».   Detto, fatto pure questo anche se così facendo è stata abolita una tassa che rimane sul territori in cui viene pagata. Non si può omettere di considerare che il governo garantirà con fondi propri, provenienti da Roma, la perdita di getto per i comuni pari 1,7 miliardi di euro. Ma che fine ha fatto invece l'«abolizione delle tasse sulle successioni e sulle donazioni reintrodotte dal governo Prodi»? Era il 2001, il secondo governo Berlusconi, appena eletto, aveva inserito il procedimento che aboliva la tassa di successione all'interno della legge Finanziaria. Poi nel 2006 appena Prodi divenne premier, su richiesta dei partiti di estrema sinistra, fece in modo di ripristinarla e ora? È passato quasi un anno e mezzo di governo, nonostante la manovra abbia un costo per lo Stato stimato in duecento milioni di euro, non si è ancora pensato a riproporla. E poi, che fine hanno fatto i propositi di «diminuire la pressione fiscale sotto il 40% del prodotto interno lordo» e l'«assegnazione di libri di scuola gratuiti per le famiglie meno agiate, estesa fino al 18° anno d'età per garantire il diritto-dovere all'istruzione»? Certo, molte altre cose sono state fatte, dal "Piano Sicurezza" alla riforma dell'università, dalla tutela dei lavoratori a progetto ai Tremonti Bond, dalla riorganizzazione della pubblica amministrazione alle detrazioni del 36% sulle ristrutturazioni e del 55% sugli impianti che permettono risparmi energetici passando per un giro di vite sulla violenza sessuale, sullo Stalking (molestie) e sugli stupri. Ma che fine ha fatto il cavallo di battaglia di Silvio? Una spiegazione arriva da Mario Baldassarri, senatore del Pdl e presidente della Commissione Finanze: «Prodi ha aumentato le imposte di 100 miliardi portando la pressione fiscale dal 40,6% al 43,5%. Così ora ci troviamo nella condizione di non poter tagliare le tasse se prima non abbattiamo la spesa. E in questa direzione sta già lavorando il Governo che vuole arrivare, quanto meno, a riportare la pressione fiscale ai valori che ha trovato Prodi quando ha iniziato a governare nel 2006».  

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