La Cgil va contro la modernità
Portando i manifestanti a sfilare per le vie di Roma, la Cgil aveva uno scopo preciso: dimostrare la propria distanza dagli altri sindacati, indicarli come immobili, sollecitarli allo sciopero generale. Questo era l'obiettivo. Per il resto, domina il vuoto assoluto. Anzi, peggio: domina l'incapacità di capire il futuro prossimo e regolarsi di conseguenza. Guglielmo Epifani, capo di quel sindacato e rappresentante di una sinistra che ha ritrovato il partito di riferimento (maliziosa e furba, in tal senso, la presenza di Antonio Di Pietro in piazza), ha detto che, per i lavoratori, il peggio deve ancora arrivare. Noi lo ripetiamo da mesi, quando loro strillavano alla crisi ed al baratro, come se ci fossimo già dentro. Solo che noi lamentavamo (e lamentiamo) che il tempo sia passato, che l'occasione della crisi sia scorsa, senza che si sia messo mano alle necessarie riforme del mercato del lavoro e delle pensioni. Epifani, invece, vorrebbe più soldi pubblici per conservare il mondo com'era, con quello stesso mercato, con quelle stesse pensioni, con quelle stesse rigidità, con le protezioni per i garantiti. Il sindacato, insomma, da una parte è sempre meno rappresentativo dei lavoratori (solo una piccola minoranza è iscritta e la maggioranza degli iscritti è composta da pensionati), dall'altra è sempre più conservatore. Non è che non abbia ricette per uscire dalla crisi, è che rappresenta una delle cause della crisi. Più crisi, pertanto, corrisponde a più protezioni da chiedere. Quasi quasi è un affare. Paradossale e significativa, in questo quadro, la presenza di giovani studenti alla manifestazione. Intendiamoci, sono, anche loro, espressione di una politicizzazione che si nutre di schieramenti e trascura le idee e i programmi, ma fa tenerezza vederli sfilare appresso alle forze che stanno scaricando su di loro il peso insostenibile delle pensioni, del debito pubblico e dell'unica elasticità praticabile nel mondo del lavoro, quella verso i precari. E fa rabbia sentirli ripetere una corbelleria cubica, come quella che condiziona il diritto allo studio ai finanziamenti indirizzati all'università pubblica. Ragazzi, smettetela di credervi all'asilo, perché l'università deve essere selettiva e severa, meritocratica al massimo, altrimenti è una presa in giro, ed i presi per le chiappe siete voi. Dovreste andare in piazza, certo, ma per chiedere che cessino i finanziamenti a pioggia che alimentano baronie parentali ed amicali, dovreste pretendere che i docenti siano i primi ad avere superato una durissima selezione, i primi a sperimentare la meritocrazia. Invece sfilate per la costosa mediocrità, che per voi sarà condanna alla povertà. Questa mattina i giornali racconteranno la manifestazione, senza spendersi in gran riflessioni. Domani se ne ricorderanno solo i romani che, come al solito, sono finiti ostaggi dei cortei. Nessuno, né a destra né a sinistra, sembra disposto a dire, a muso duro e con onestà, che il modo in cui abbiamo strutturato il mercato del lavoro è ingiusto e si traduce in una gran fregatura per i giovani. Si preferisce blandire o ignorare. C'è un mondo che è disposto a tutto, pur di conservare se stesso, e il sindacato ne fa parte.