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Caos Sicilia: Lombardo in bilico E Miccichè si prepara

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Raffaele Lombardo

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PALERMO - «Egoisticamente, se dovesse cadere Lombardo, il primo a guadagnarne sarei io. Questa volta manco passerei da Arcore. Tra un mese vedete i manifesti in tutta la Sicilia». Parola di Gianfranco Micciché. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, infatti, ritiene «un'ipotesi» la strada di tornare alle urne nell'isola. Come non è da scartare una nuova maggioranza che il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, potrebbe dar vita con pezzi del Partito Democratico. Dunque, il governo Lombardo bis è arrivato al capolinea. E sembra essere l'Udc, come se non bastasse, la chiave di svolta della crisi politica isolana.   Come dire la Sicilia in mano di Casini? Di certo è lo stesso presidente della Regione, Raffaele Lombardo, ad ammettere che «è evidente che s'è aperta una crisi politica». A questo punto, «avvio una verifica». «Se ci sono le condizioni, come io credo che ci siano — aggiunge Lombardo — andremo avanti, ma nessuno di noi è legato alle poltrone». «Andare al voto — conclude — significa riconoscere il successo di quanti hanno vissuto l'azione di questo governo come un incubo, per le tante azioni di risanamento portate a compimento». Uno scenario che diventa ancor più intrigante non registrando alcun segnale da Roma: Berlusconi, Fini, Casini, silenzio di tomba. E così se Lombardo parla di crisi del suo governo, il padre del neo gruppo «Sicilia» (Pdl) all'Assemblea regionale, Micciché, chiede la soluzione personalmente a Silvio Berlusconi. Viceversa, «sarà difficile trovare strade alternative». Il ritorno alle urne, invece, l'invoca chiaramente Saverio Romano, deputato nazionale dell'Udc e segretario nell'Isola del partito che ormai in Sicilia è ago della bilancia al Parlamento in quanto Lombardo, per fare maggioranza o bussa alle porte del partito di Casini o di quello di Bersani. Più cauto, invece, quando si parla di urne, il coordinatore del Pdl isolano («lealisti»), Giuseppe Castiglione: «Siamo al capolinea, ma se non dovesse ricomporsi il quadro politico è chiaro che le urne sarebbero una soluzione inevitabile». A questo punto, per il presidente della Regione si aprono due strade: la ricerca di una nuova maggioranza o il ritorno alle urne ed una nuova chiusura traumatica della legislatura, così come avvenne con la precedente quando dopo circa due anni, a causa della condanna dell'ex presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, e delle conseguenti dimissioni, il Parlamento regionale si sciolse. Insomma, un vera e propria tempesta politica. Ma che non arriva, certamente, a ciel sereno. L'ultimo fulmine, meno di ventiquattro ore fa: la bocciatura del Dpef 2010-1013 al Parlamento siciliano. In pratica, un ordine del giorno è stato votato dal Partito Democratico, da quella parte di Pdl chiamata «lealisti» e dall'Udc, entrambi ormai passati all'opposizione. In sostanza, il governo Lombardo non ha più la maggioranza (46 voti) in aula. Sulla carta può contare di 30 voti divisi a metà tra Mpa e «Sicilia». Il paradosso di questa situazione è anche il fatto che le scelte del Pd in Sicilia, hanno concesso una mossa decisiva al Pdl «lealista». La politica aggroviglia le cose in modo da mettere insieme i nemici, qualche volta. Ma questo lo sanno bene i democratici siciliani. Il loro «no» secco a Lombardo ha dato una mano, forse decisiva, alla corrente di Alfano e Schifani, in definitiva al Cavaliere, e svantaggiato l'azione dei «ribelli» di Micciché. Ad aggrovigliare la matassa, infine, pensa un parlamentare regionale del partito di Bersani. «Sono certo che molti esponenti del Pd — sibila Nino Di Guardo — sono pronti a dare vita ad un governo di salute pubblica regionale». Sarà il frutto del colloquio nel corso di una cena, tra un piatto di cruditè di tonno e cernia, tra Massimo D'Alema e il governatore Lombardo, avvenuta pochi giorni fa a Palermo? Staremo a vedere.  

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