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Ripartire dall'immunità parlamentare

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... che affidava alle Camere il compito di decidere sulla sospensione del procedimento penale.  Veniva così a definirsi, per iniziativa soprattutto del senatore Maccanico, che ebbe a presentare in tal senso un emendamento al testo del relatore Ruffini, una sorta di meccanismo di silenzio-assenso destinato a scongiurare il ripetersi degli abusi che avevano contraddistinto in passato la concreta applicazione dell'istituto dell'autorizzazione a procedere. Quel testo, edito di un lungo lavoro di commissione e di aula, iniziatosi agli esordi della legislatura, riusciva ad armonizzare l'impianto del vecchio articolo 68 della Costituzione con la normativa del nuovo codice di procedura penale. Più volte, del resto, in Senato socialisti come Covatta e democristiani come Martinazzoli avevano ricordato quanto la giustizia, nella concezione liberale dello Stato di diritto, dovesse avere al suo centro il momento del processo e non il momento delle indagini. Tutta l'atmosfera e la cultura di Tangentopoli erano, invece, incentrate allora sull'ansia di far considerare quasi fra le «varie ed eventuali» il momento del processo. I colleghi parlamentari, nei confronti dei quali veniva richiesta l'autorizzazione a procedere, si vedevano sottoposti a «processi di piazza» e l'avviso di garanzia equivaleva a condanna. Proprio per sensibilità alla loro vicenda, oltre che per una alta idea dei valori della Costituzione, il senatore Maccanico era approdato alla formulazione poi approvata. Purtroppo, quel testo alla Camera non ebbe gli onori di alcun approfondimento e di alcuna discussione. Il libero voto della Camera qualche settimana prima sul merito di alcune autorizzazioni a procedere contro l'onorevole Craxi contrappose irrimediabilmente la «piazza» al «palazzo». Si fece strada una riforma dell'articolo 68 della Costituzione, che produce da molti anni fra Parlamento e Corte Costituzionale un'interminabile partita di ping-pong, a base di interpretazioni, correzioni, indicazioni: le une all'inseguimento delle altre. Le norme ipotizzate nel cosiddetto «lodo Schifani» o nel cosiddetto «lodo Alfano» non sono riuscite a medicare la ferita che nel nostro sistema delle garanzie della libertà che si determinò nel 1993. Di qui la opportunità di provare a «tornare alla Costituzione», a partire dal testo che il Senato aveva trasmesso alla Camera nel febbraio del 1993 e che dalla Camera (nel senso meno istituzionale del termine) era stato ignorato. L'idea che lo sorregge è che l'articolo 68 della Costituzione non fosse un'eccezione o una forzatura dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, prevista all'articolo 3, ma uno svolgimento, un'attuazione, una garanzia dell'articolo 67 sulla libertà del mandato parlamentare. Insomma, da quel vecchio testo Maccanico varrebbe davvero la pena di ripartire.

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