Quella profezia pronunciata un anno prima
{{IMG_SX}}Montanelli, quando raccontava dei suoi vecchi «reportage», diceva sempre che un grande inviato speciale deve possedere una buona dose di fortuna e, a conferma di questa tesi, raccontava come solo per una fortuita coincidenza lui fosse stato il primo giornalista occidentale ad arrivare a Budapest nei giorni memorabili della rivolta d'ottobre del 1956. Personalmente, credo di essere stato un buon inviato, ma, in quanto a fortuna sul lavoro, ho anch'io qualche «scoop» da farmi perdonare. A vent'anni da quello storico 9 novembre 1989 che vide il crollo del Muro di Berlino, posso infatti raccontare un «colpo» giornalistico che mi rese, allora, particolarmente orgoglioso. Eravamo, dunque, a settembre del 1988, quattordici mesi prima quell'incredibile sera che cambiò i destini del mondo. A Berlino Ovest si svolgevano, in quei giorni, i lavori del Fondo Monetario Internazionale che solitamente si tengono a Washington: fu, quella, una scelta certamente indovinata e nella città tedesca, oltre alle delegazioni dei cinque continenti, arrivarono centinaia di giornalisti. Il sottoscritto era allora redattore economico del Giorno e il direttore Lino Rizzi mi spedì a Berlino a seguire l'assemblea. Capitò che il borgomastro della città (Herr Momper, se non ricordo male) invitò a pranzo cinque o sei giornalisti europei per discutere sui vari problemi sul tappeto. Non so ancora per quali motivi, ma io ero l'unico italiano presente a quella colazione di lavoro. Si parlava del più e del meno e, a una certo punto, con grande naturalezza, come se stesse parlando del tempo meteorologico di quel bellissimo autunno berlinese, il borgomastro di Berlino Ovest annunciò: è ormai questione di mesi, il Muro sta per cadere. Per un istante, pensai di non aver compreso bene il borgomastro che si stava esprimendo in un inglese un po' stentato e gli chiesi di ripetere quanto aveva appena detto. Herr Momper mi guardò negli occhi e ribadì: «Addio Muro!». All'indomani Il Giorno, unico quotidiano italiano, sparò il titolo con le dichiarazioni del borgomastro. Che si rivelarono davvero profetiche, ma io, per tanto tempo ancora, non mi resi conto di avere fatto un grandissimo «scoop» perché il crollo del Muro può essere oggi considerato uno dei fatti più importanti, se non il più rilevante, accaduti nel mondo dal dopoguerra a oggi. Una svolta epocale che ha firmato la definitiva eclissi del comunismo e ha accelerato la fine del patto di Varsavia e di tantissime ideologie totalitarie: dopo il Muro, sono crollate Berlino Est, la Ddr, l'Unione Sovietica e tutta l'Europa d'oltrecortina. Come racconta un mio amico berlinese di origini italiane, Guido Brunetta, che abitava allora nella parte occidentale della città, «quella sera non si sentirono liberati solo gli abitanti dell'Est, ma anche quelli Berlino Ovest: come Kennedy, ci sentimmo tutti berlinesi e, senza più ostacoli, ci abbracciammo, ebbri di gioia, da vecchi fratelli». Per Guido Brunetta, la vita è completamente cambiata dal 9 novembre 1989 e, al di là dell'entusiasmo, della felicità e delle lacrime di commozione, ricorda due odori che caratterizzarono quella sera, peraltro indimenticabile: l'odore della birra versata a fiumi e quello, davvero pesante, del carburante utilizzato dalle Trabant, le automobili con motori a due tempi dell'ormai ex Germania Est, che, a migliaia, varcarono il confine verso l'Occidente e la libertà.