Ma c'è chi non ha fatto i conti con il comunismo
Èla prova che con l'«immensa tragedia» del comunismo, come la definisce Stephan Courtois, che ha «prodotto» cento milioni di morti, non tutti hanno ancora fatto i conti. Sono soprattutto gli eredi di quei partiti comunisti occidentali che profusero grandi passioni nell'esibire la loro sudditanza nei confronti non soltanto dell'Urss, ma del comunismo in genere a mostrarsi ancora reticenti nell'affrontare il tema del post-comunismo alla luce dei danni provocati dall'ideologia che ha insanguinato buona parte del mondo. E c'è ancora chi si rifugia, quasi per giustificarsi, in una visione del marxismo come strumento di emancipazione dei popoli. Un modo come un altro per vanificare quel grido dei berlinesi che festeggiavano piangendo e ridendo la riconquistata libertà. Mentre la valutazione storica e morale non è stata ancora definitivamente compiuta, ciò che continua ad accadere in Russia è ascrivibile alla logica del sovietismo pratico, come testimoniano i frequenti omicidi politici, la russificazione della Cecenia, la sottomissione dell'Ossezia e dell'Inguscezia, il tentativo di riprendersi la Georgia. E la mattanza di giornalisti, intellettuali, professionisti dissidenti che cadono sotto i colpi di killer senza volto (la Politkovskaja è stata la prima di una lunga lista di morti ammazzati) è riconducibile ad un sistema di potere vagamente «stalinista». Una riflessione su tutto questo e sulle mutazioni del marxismo nel mondo andrebbe fatta dopo due decenni nel corso dei quali si è creduto che tutto fosse cambiato, mentre in realtà, in alcuni Paesi è mutata soltanto la forma del potere anche se nessuno si azzarda più per decenza a citare i classici del comunismo a supporto di politiche che si combinano maldestramente con l'apologia di un ben singolare «mercato» come nella Cina popolare, Paese che sta facendo strame dei diritti dei popoli dal Tibet allo Xinjiang dove gli uiguri vengono sistematicamente massacrati nell'indifferenza di quello stesso mondo libero che plaudì alla caduta del Muro. Ha sorpreso, tra l'altro, che dopo gli eventi successivi all'89, la sinistra italiana non ha mai effettuato un'adeguata analisi degli esiti del comunismo non soltanto dove si era affermato politicamente, ma anche e soprattutto nell'ispirazione fornita alla cultura occidentale. L'ultimo Muro che ancora deve cadere, dunque, è quello culturale. Rimuovere non serve a niente: i fantasmi possono sempre ripresentarsi sotto forme inimmaginabili. Bisogna riconoscere e ricordare. E nello stesso tempo sottoporre ad un rigoroso vaglio critico ciò che ha generato il comunismo stesso, attraverso un'opera di scarnificazione dei miti che lo hanno preceduto. A cominciare dall'Illuminismo. È troppo? Gennaro Malgieri