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Con Bersani il Pd torna un cantiere

Pierluigi Bersani e Rosy Bindi

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Con la scelta di ricostruire un partito, con la sua organizzazione, il radicamento nel territorio, il tentativo di rappresentare gruppi sociali. Non è un caso che il primo discorso del segretario sia avvenuto in una fabbrica. Non è un caso la scelta di un gruppo dirigente già collaudato e spesso proveniente dalla Prima Repubblica. Poca fantasia sicuramente, ma forse un pizzico di concretezza e soprattutto la sconfessione impietosa di 15 anni di politica della sinistra. Una sinistra sconvolta nei suoi piani con la discesa in campo di Berlusconi che dal 1994 ha occupato il centro della scena politica. Trovando un grande consenso personale e di conseguenza portando l'altra parte a una battaglia più contro la persona che politica. Una scelta che oggi, più di ieri, appare perdente. Perché il Pd avrà sempre degli alleati-avversari più antiberlusconiani, siano Di Pietro o un giornale come Repubblica, e che inevitabilmente portano lo scontro su un terreno minato. La guerra di leader fino ad oggi ha visto Berlusconi trionfare o capace di rialzarsi subito dopo le sconfitte. L'ultima sfida è stata quella di Veltroni. L'unico, per carisma, ritenuto in grado di sfidare il premier. Ha perso senza possibilità di rivincita, la sua armata si è disgregata. Ha dovuto lasciare. Bersani ora cerca di spostare il confronto. Non inseguire Berlusconi, ma cercare di radicare il proprio partito nella società. Questa è la sfida. Difficile, perché, a differenza dei vecchi Pci e Dc, non ci sono collanti ideologici. Difficile perché il rischio che il dissenso si trasformi in fuga è reale. Lo dimostra il caso Rutelli. E il problema potrebbe ripresentarsi amplificato quando dai principi generali si passerà alle scelte concrete. Ancora una volta la sinistra torna un cantiere.

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