Storace guarda alle alleanze, critica Fini e attacca Marrazzo
LaDestra di Francesco Storace si riunisce per decidere le prossime mosse, visto il fibrillante quadro politico e in vista delle elezioni Regionali. Non è più tempo né aria, par di capire, di splendido isolamento, di «andar da soli». Meglio guardarsi intorno, insomma, ma con giudizio. Intendiamoci, la collocazione è rivendicata con orgoglio: a destra non per costrizione, ma per scelta. Eppure non mancano, qui come altrove, timori per possibili defezioni. Lo ha confessato in modo esplicito uno dei dirigenti nazionali del partito, Nello Musumeci, che, dopo i saluti, affettuosi quanto vuoi, arriva sempre la domanda a voce bassa: «Ma siamo sicuri che non te ne vai?». E dove? Avendo nulla a destra, la Destra punta verso il «centro», e la prima cosa che trova sulla sua strada è il Pdl. A «possibili convergenze» sembrano orientati, sia pure con molti distinguo, dirigenti e truppe. Ma senza rinunciare a togliersi qualche sassolino dalle scarpe, anche se non è necessario citare nomi. Il segretario Storace: «A guardare le frequenti liti tra fondatori del Pdl e ministri, per non parlare delle vere e proprie scissioni in Sicilia, perché ce l'avevano con noi, che eravamo solo pochi deputati?» In filigrana, nella relazione di Storace, c'è disegnato il profilo di Fini. Perfino quando parla del muro di Berlino, Storace dichiara che anche lui ha un messaggio da mandare ai ragazzi del 1989, come ha fatto il presidente della Camera: «La caduta di quel muro, non deve farci dimenticare ciò che l'ha sostituito, il pensiero unico, la politica soggetta all'economia. A tutto questo diciamo no, no al relativismo culturale e no a chi vuole il meticciato». Cioè Fini. Mena fendenti sulla sinistra (dai rubli di Mosca al diritto a drogarsi, dai diritti ai gay al «razzismo al contrario, che privilegia gli immigrati sugli italiani»). Sul corpo di Marrazzo, Storace (che fu battuto da Piero nella sfida di quasi cinque anni fa) cammina avanti e indietro, più volte. «È uno svergognato, ha fatto bene a coprirsi la faccia per non essere ripreso con le telecamere», gli rinfaccia i 3000 euro - aggiuntivi allo stipendio - che incassava come presidente della Fondazione Tor Vergata, legata alle funzioni istituzionali del presidente della Regione. E il fatto che l'avvocato difensore sarebbe stato nominato da Marrazzo presidente dell'istituto che gestisce le case popolari. Insomma, non si risparmia proprio nulla come d'altro canto ha fatto in tutti questi giorni. Ma nel mirino finiscono anche altri governatori, «non ci dimentichiamo mica che la sinistra ha eletto i signori Vendola, Bassolino, Loiero, Del Turco». Già perché i due giorni di lavoro daranno il via libera alle «alleanze comuni per battere la sinistra», con l'impegno a coinvolgere anche la Fiamma tricolore, e chiedendo «un patto valido ovunque e non a macchia di leopardo, noi non siamo l'Udc». All'orizzonte, forse un nuovo soggetto politico, il Partito della nazione e del lavoro (Pnl?) e una scuola di partito dal prossimo gennaio. I lavori verranno chiusi dal presidente del partito, Teodoro Buontempo, che intanto ha ricordato «le tante battaglie affrontate, alcune vinte e altre no». Considerando che il partito esiste solo da due anni, si è allargato un po' troppo con i ricordi. Resterebbe da dire dell'inno del partito e quello italiano, cantati in piedi e a squarciagola, di qualche saluto romano, delle molte camicie nere, dei «ciao camerata», tutta roba buona per un pezzo di colore, ma dieci anni fa. Oggi la destra (non la Destra) sta al governo, è maggioranza, non colore. Lu. Car.