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Bersani ha voglia di confronto

Pierluigi Bersani all'Assemblea del Pd

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È il primo passaggio politico. Quello che Pier Luigi Bersani affronta dopo aver ringraziato presenti e assenti, e dopo aver spiegato che il suo non sarà il partito di «un uomo solo», ma «un collettivo di protagonisti». Insomma dopo le frasi di circostanza il neosegretario parte subito da lì. Dal dialogo con la maggioranza sulle riforme. Certo nella premessa Bersani sottolinea il rischio che il nostro Paese, per la sua «particolare situazione», scivoli in «deformazioni e semplificazioni regressive della rappresentanza». E anche quando affronta il nocciolo della questione preferisce non parlare di dialogo, «parola malata ed ambigua», rifugiandosi in un più rassicurante «confronto trasparente nelle sedi proprie e cioè il Parlamento». Ma il dato c'è. Dal palco allestito nel padiglione 14 della nuova Fiera di Roma, davanti all'assemblea nazionale del partito, il neosegretario tende la mano a Silvio Berlusconi e al governo. «Ci chiamiamo Democratici - spiega - perché poniamo al Paese il problema di una democrazia efficiente. Ci chiamiamo Riformisti perché vogliamo le riforme. E quindi avanziamo una nostra idea di riforma che non affidiamo al cosiddetto dialogo, ma al confronto trasparente nelle sedi proprie e cioè il Parlamento». Quattro i punti qualificanti della proposta del Pd: superamento del bicameralismo perfetto, Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari, rafforzamento delle funzioni reciproche di governo e Parlamento; una coerente e moderna legislazione sui partiti che attui l'articolo 49 della Costituzione; una nuova legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i parlamentari; nuove norme sui costi della politica. Anche sulla giustizia il discorso non cambia: «Vogliamo discutere di norme urgenti e radicali sulla giustizia civile? Vogliamo parlare della ragionevole durata del processo? Vogliamo partire da qui e affrontare, a partire da qui, i problemi che hanno rilievo anche nella dimensione costituzionale? Siamo d'accordo». Insomma forse qualcosa sta veramente cambiando nei rapporti tra maggioranza e opposizione. Certo, Bersani non manca di sottolineare come, quando si parla di magistrati, il confronto viene «invaso dall'insuperabile interferenza di questioni che si riferiscono alle situazioni personali del presidente del Consiglio», e attacca frontalmente la Lega convocando una mobilitazione di 1000 amministratori Pd per «denunciare il federalismo delle chiacchiere ed affermare quello dei fatti». Ma è pur sempre il leader del Pd. Fatto sta che anche quando parla dei temi economici e l'attacco alla maggioranza si fa più netto e duro, Bersani non rinuncia a tendere la mano: «Non si può pretendere che le rose del governo siano senza spine. Davanti ad un'assunzione di responsabilità esplicita, concreta e visibile da parte del governo noi non ci sottrarremmo a qualcuna di quelle spine». È la prima volta che Bersani si esprime in maniera così chiara tanto che nella maggioranza c'è già qualcuno che raccoglie la sfida. «Siamo pronti - commenta il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto - ad un confronto anche in Parlamento sui temi della riforma costituzionale già in passato affrontati». E anche il coordinatore del Pdl Ignazio La Russa concorda: «È giusto un confronto, ma senza pregiudizi». Mentre il ministro Gianfranco Rotondi chiude sulla legge elettorale: «Il governo non la cambierà».

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