La Corte di Strasburgo con islamici e scettici
La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che ha sancito il divieto di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche ha giustamente suscitato indignazione ben oltre il confini del mondo cattolico. I giudici europei, evidentemente non la pensano così. Ed hanno negato all'Italia ciò che nessuno da ottant'anni aveva mai messo in discussione. Non ci sorprende. La Corte che ha emesso la sentenza è emanazione diretta del Consiglio d'Europa (e non dell'Ue o della Commissione europea, come qualcuno erroneamente ha scritto) che nel tempo ha assunto connotazioni laiciste molto marcate al limite dell'intolleranza. Del resto, quale equanimità ci si può attendere da un tribunale che rispecchia fedelmente nella composizione dei suoi giudici la rappresentanza politica del Consiglio stesso. Dell'Assemblea, infatti, fanno parte 47 Paesi, alcuni dei quali prevalentemente musulmani (Turchia, Armenia, Azerbaigian ed altri dove l'islamismo gioca un ruolo politico di primaria importanza), altri decisamente scettici o atei in ragione della struttura sociale e del dominio comunista, penso a quelli del nord Europa e a quelli dell'Est (Polonia esclusa), ed altri ancora a forte componente luterana, per non parlare di nazioni mediterranee dove sempre più debole è lo spirito cattolico e cristiano. È naturale che i giudici della Corte mostrino una sensibilità fievole se non ostile riguardo a certi temi che sarebbe bene perciò sottrarre alla loro giurisdizione. E di questo, proprio in nome dei diritti umani, il Consiglio d'Europa dovrebbe farsi carico ripensando talune sue strutture che dopo l'allargamento del consesso, avvenuto con la fine del sovietismo e la liberazione di popoli oppressi, ha pure mutato natura ed orientamento. È pur vero che il gruppo maggiore nel Consiglio è il Ppe, ma ad esso aderiscono elementi che nulla hanno a che fare con una visione cristiana della vita; è altrettanto vero che sommando i partiti moderati (oltre al Ppe, i conservatori del Gde) si scopre che sono di poco minoritari rispetto ai liberaldemocraci dell'Adle, ai socialisti europei, ai comunisti del Gue, senza considerare i Non iscritti che per definizione sono inclassificabili. Dunque, l'orientamento che il Consiglio prevalentemente esprime è laicista e talvolta assume posizioni politiche francamente irritanti rispetto a politiche di paesi membri che nulla hanno a che fare con i diritti umani. Personalmente, facendone parte da anni, più volte sono stato impegnato a difendere l'Italia dall'accusa, rilanciata a Strasburgo, riguardante la limitazione della libertà di stampa. C'è stato chi, al riguardo, ha paragonato il nostro Paese alla Bielorussia, alla Bulgaria o ad una qualche repubblica caucasica. Il tutto nell'indifferenza (o quasi) delle nostre autorità che forse ritengono il Consiglio d'Europa un orpello tanto inutile da offrire il destro a chi detesta per innescare polemiche che contribuiscono a farci perdere la faccia. Negli ultimi tempi, Assemblea e Commissioni hanno sfornato documenti, e relazioni nelle quali si è sostenuto l'abortismo più avanzato e rischioso; il relativismo religioso ed il laicismo più spinto ritenendo l'insegnamento di qualsiasi dottrina un fatto assolutamente privato. Dell'eutanasia si parla sempre più frequentemente in linea con le legislazioni di molti Paesi europei e prima o poi si arriverà ad approvare un documento che la giustifichi. Così ci si muove a Strasburgo. Perché, dunque, meravigliarsi se la Corte dei diritti umani pronuncia una sentenza tanto bislacca?