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"Anche Attila onorò la Croce"

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Lucio Dalla

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Lucio Dalla, cosa gliene pare della sentenza di Strasburgo?  «È una grande stronzata».  Non è l'unico a usare questi termini. Anche Bossi, per dire. «Hanno voluto colpire un simbolo che va oltre il significato puramente religioso. È una colonna portante del nostro immaginario collettivo. Lo dimostra la storia di Attila». Attila. «Gli unni erano popolazioni nomadi, non avevano chiese. Le poche volte che scendevano da cavallo lo facevano per pregare. Piantavano a terra la spada e si inginocchiavano. Quell'arma aveva la forma e la forza della croce. Quando se la vide davanti, rinunciò a saccheggiare Roma». Si fermò sulla riva del Po. «Era dalle parti di Mantova. Non se la sentì di guadare il fiume. A fronteggiarlo, si trovò quel benedetto pazzo di Leone X che brandiva il crocifisso, alla testa di centomila cavalieri. Si parlò di miracolo. Come sia, il ferocissimo invasore ordinò il dietrofront alle sue truppe. Era consapevole di non poter affrontare quella sfida». Altri invece ci provano, a suon di codicilli. «Ma che ci guadagnano a togliere le croci dalle scuole? Vorrebbero, in nome del garantismo, appenderci anche i simboli buddisti e la mezzaluna? Spieghino che quelle sono fedi rispettabilissime e lascino Cristo dov'è. Sa cosa diceva Nietzsche?» Cosa? «"Non so quale Dio, ma c'è in ogni uomo". Ed era un filosofo che aveva trascorso la vita a negare l'esistenza di un Padreterno». Lei pubblica oggi un nuovo cd, "Angoli nel cielo", all'altezza dei suoi capolavori. Vi si avverte molto la presenza del trascendente. In una canzone chiede: "vorrei sapere chi è che muove il mondo e dov'è". «In quel verso mi metto nei panni di chi Dio non l'ha ancora trovato. Il mio lo sento. Non necessariamente andando a Messa: lì a volte mi annoio. Dio mi parla quando mi affaccio nella mia terrazza per ore. Lo sento nei fischi del treno, nel vento che muove gli alberi della collina, nella neve che viene giù. Io sono un cristiano non radicale, ma assolutamente creativo. La Sua presenza mi arriva reale, non mistica. Si manifesta scopertamente nella mia anima. Altrimenti sarei come uno di quei dolcissimi cani che teniamo in casa».  Negli ultimi tempi ha collaborato con Alda Merini. «Che era una creatura concretamente vicina al cielo, così estrema da farne parte anche quando era ancora viva. Sapeva decodificare i Vangeli, che a troppi appaiono complicati, e che lei illuminava nella grandezza e nella semplicità del messaggio. Ad Assisi mettemmo in scena insieme uno spettacolo su Francesco. Alda l'aveva scritto, io musicato, Marco Alemanno lo leggeva. Quando mi voltavo vedevo Giotto, Cimabue, la Croce. E mi sentivo sopraffatto da tanta meraviglia. Il 27 novembre, con lo stesso cast, saremo alla Basilica dei Cappuccini di Milano. La Merini, senza retorica, sarà con noi. In qualche forma». In cosa confidare? «Nella gente, che non dà più deleghe in bianco ai politici. In questa società in costante mutazione i presunti leader saranno i primi a venire spazzati via dagli scossoni di una sottocultura che non conosce più etica. Gli scandali si susseguono a ritmo quotidiano: senza valori sociali forti, la nostra sarà una navigazione nella burrasca. Se poi ci tolgono anche i simboli più inattaccabili, rischieremo il naufragio».

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