Alleanze e dialogo, Bersani si nasconde
Nel giro di dieci giorni ha incontrato tutti. Da Gianfranco Fini a Renato Schifani, passando per Giorgio Napolitano, Antonio Di Pietro, Pier Ferdinando Casini. Il tutto senza tralasciare Nichi Vendola (Sinistra e Libertà), Paolo Ferrero (Prc), Oliviero Diliberto (Pdci), Emma Bonino, Marco Pannella (Radicali) e Angelo Bonelli (Verdi). Si è anche concesso una trasferta a Bruxelles per vedere il commissario Joaquin Almunia e il capogruppo dell'Asde (l'ex Pse) Martin Schulz. Insomma, esclusi Francesco Rutelli (che però ha incontrato Massimo D'Alema ndr) e Silvio Berlusconi, Pier Luigi Bersani ha parlato con tutto l'arco costituzionale. Eppure il suo partito continua ad essere un grande cantiere aperto che difficilmente si chiuderà in tempo per l'assemblea nazionale di sabato. Lasciando da parte i temi etici, non si capisce come si muoverà sul piano delle alleanze, non si capisce come intende comportarsi sulla proposta fatta da Silvio Berlusconi di aprire un dialogo sulle riforme e, soprattutto, l'impressione è che il nuovo Pd altro non sia che una riproposizione di vecchi schemi. Un patto solidale tra ex Ds ed ex Ppi. Ma andiamo per ordine. Il nodo-alleanze è sicuramente quello più delicato. Bersani ha più volte detto che il suo modello è l'Ulivo, ma se Romano Prodi fu costretto a constatare sulla sua pelle la «follia» dell'Unione, difficilmente l'ex ministro riuscirà a coalizzare Udc, Idv e ciò che resta della sinistra cosiddetta radicale. Per capire la difficoltà dell'impresa basta leggere la dichiarazione rilasciata dal neosegretario al termine del suo faccia a faccia con Casini ieri alla Camera. «Abbiamo dato uno sguardo alla questione regionali - ha commentato -, vedendo le possibilità di collaborazione. Ma siamo ai preliminari». Che tradotto vuol dire: per ora l'accordo è molto, molto lontano. E comunque, spiegano fonti vicine al segretario, se accordo ci sarà, dovrà limitarsi ad un ristretto numero di Regioni. Non solo perché l'Idv ha già fatto sapere, più o meno velatamente, che non accetterà intese con chi già governa con il centrodestra, ma anche perché alcuni dei candidati su cui il Pd potrebbe puntare sono assolutamente «irricevibili» dai centristi. Il caso Lazio è un esempio concreto. Sparita dal tavolo la candidatura del fondatore di Sant'Egidio Andrea Riccardi, è altamente probabile, se non praticamente certo, che l'Udc si schieri con Renata Polverini. Tant'è che Casini, al termine dell'incontro, ha difeso la propria autonomia: «Siamo in Parlamento nonostante Berlusconi e il Pd, siamo in una posizione terza e ne siamo gelosi. Ma ci può essere un rapporto di collaborazione con il Pd e con Bersani». In ogni caso, ha spiegato, sulle regionali «le convergenze saranno le eccezioni». Insomma è altamente probabile che, alla fine, Bersani dovrà trattare con il solito alleato «scomodo». Quell'Antonio Di Pietro che ha già chiesto la «testa» di Antonio Bassolino, Nichi Vendola e Agazio Loiero. Peccato che, due su tre (Loiero e Bassolino), siano tra i principali sponsor del neosegretario. Al punto che alle primarie la sua mozione ha fatto registrare oltre il 70% in Calabria e il 60,5% in Campania. E, nonostante Bersani abbia già detto che non parteciperà alla manifestazione indetta dall'Idv contro Berlusconi per il 5 dicembre, è indubbio che l'antiberlusconismo di Di Pietro pesi e non poco sulla possibilità di aprire un confronto sulle riforme tra Pd e maggioranza. Anche ieri, sul tema, il segretario democratico è stato criptico: «Io sono assolutamente rispettoso del ruolo del presidente del consiglio di un Paese come l'Italia ma spero che anche lui lo sia e abbia parole veritiere, e non di propaganda, verso la situazione in Abruzzo e in generale verso la realtà italiana. Sulla situazione economica noi siamo pronti a contribuire, ma non se si continua a dire che i cieli sono azzurri». Intanto c'è da mettere mano agli organigrammi del Pd. Ieri Bersani ha stretto l'accordo con la minoranza interna guidata da Dario Franceschini. L'ex segretario dovrebbe accettare il posto da capogruppo alla Camera in cambio di una gestione collegiale del partito. Insomma, ancora una volta tutto si concluderà, con un accordo tra ex Ds ed ex Ppi. Il nuovo che avanza.