Ora basta con i veti sulle riforme
È un peccato che l'ottimo articolo di Panebianco di ieri sul tema delle riforme sia viziato dal pessimismo dovuto alla sua conoscenza del mondo politico italiano e della quasi insormontabile difficoltà di collegamento tra i due poli. Oggi non si deve essere remissivi; occorre, piuttosto, contribuire a trovare la strada per avviare un effettivo processo di riforme condivise, sia riguardo alla giustizia, sia riguardo alla forma di governo. Ciò tanto più per quanto concerne la giustizia la cui riforma è oggi ineludibile. Non è più accettabile, infatti, che il sistema dei rapporti tra i poteri dello Stato ed in particolare la piena autonomia dei due poteri -parlamento e governo-, la cui rappresentatività deriva dalle scelte del corpo elettorale, continuino ad essere condizionati dall'irruzione sulla scena politica del potere giudiziario. Un potere che non doveva esistere avendo la Costituzione precisato che la magistratura è solo un "ordine" composto da giudici dotati di piena indipendenza e non strutturati in maniera piramidale. Né è più accettabile che la totale indipendenza garantita al P.M. si sia trasformata in uno spazio di assoluto arbitrio sulla scelta delle iniziative cui dare priorità spesso nei confronti di componenti dei due poteri rappresentativi. Tanto più che questi ultimi sono letteralmente indifesi dopo che sono state quasi del tutto eliminate le prerogative parlamentari. E dopo che sono stati annullati dalla Corte i Lodi Schifani ed Alfano diretti a tutelare, almeno, le più alte cariche dello Stato. D'altronde, la riforma dovrebbe essere facilitata dal fatto che le rotture del sistema della giustizia possono essere corrette senza ricorrere a leggi costituzionali. Infatti quello che occorre non è modificare la Costituzione bensì fare tornare la giustizia nell'alveo della Costituzione stessa. Il che significa che il nodo da affrontare riguarda l'interpretazione della Costituzione in quanto è attraverso un'interpretazione abnorme delle disposizioni costituzionali sulla giustizia che si è pervenuti oggi alla rottura del disegno voluto dai Costituenti. Ed è proprio perché si tratta di un problema di interpretazione che ha ragione Panebianco quando afferma che uno degli attori principali è quella maggioranza di costituzionalisti di sinistra che difendono e pretendono conservare la scorretta interpretazione della Costituzione che ha fatto deragliare la giustizia italiana. Sarebbe importante tuttavia che il noto editorialista valorizzasse quella consistente minoranza di costituzionalisti che si oppone a questo malandato status quo. Sarebbe bene fare sapere che vi sono iniziative importanti, come quelle della rivista «Percorsi costituzionali», nata nell'ambito della Fondazione Magna Charta. Una rivista di alta qualificazione scientifica sulla quale scrivono i tanti costituzionalisti che parlano fuori dal coro e il cui ultimo numero è tutto incentrato sui problemi della giustizia e sulle ragioni della riforma. Un numero ricco di prospettive alle quali ha voluto partecipare anche Violante. Ma la colpa è anche della politica. Infatti, è vero che il Pd, difficilmente vorrà accordarsi col governo per una riforma della giustizia che non abbia l'assenso dell'Associazione Nazionale Magistrati. Ma questa è una grave responsabilità che esso si assume. Dovrebbe, infatti, tenere presente che anche se il centrodestra smetterà di proporre riforme pensate dagli avvocati di Berlusconi e presenterà una riforma esclusivamente mirata a tornare alla Costituzione e a garantire le istituzioni democratiche contro gli interventi del potere giudiziario, i magistrati si opporranno comunque, come è sempre avvenuto in precedenza. Ma non è l'opposizione preconcetta della magistratura che può vincolare un partito che si vuole proporre per la governabilità. Ciò in quanto una siffatta riforma non è contro la magistratura ma è per la Costituzione; ciò in quanto una siffatta riforma non è contro la magistratura ma è una riforma contro la quale si schiera la Magistratura; ciò in quanto una riforma che vuole restaurare la Costituzione dovrebbe essere voluta dall'intera classe politica.