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Un posto da vicepresidente della Commissione europea, due potenziali candidati: Massimo D'Alema e Antonio Tajani.

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Unasituazione venutasi a creare dopo l'emergere della candidatura di D'Alema per la carica di «Mr Pesc», il «potenziato» alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, figura creata dal Trattato di Lisbona. Il problema è tanto semplice quanto delicato. Mentre l'altra carica che deve essere assegnata in base a Lisbona, quella di presidente permanente Ue, è in quota alla struttura del Consiglio europeo, quella di «ministro degli Esteri» rientra tra i posti a disposizione nella Commissione europea, poiché «Mr Pesc» sarà anche vicepresidente dell'esecutivo. Ma il numero dei commissari è stato fissato in 27, uno per ogni Paese. Una cifra che non è immaginabile possa essere modificata. Fino a giovedì scorso, il governo aveva confermato in almeno due occasioni la ricandidatura di Antonio Tajani per il posto spettante all'Italia nella Commissione. Ma prima la nota di Palazzo Chigi di venerdì e poi le dichiarazioni di ieri di Frattini hanno riaperto i giochi. Tra gli addetti ai lavori si sottolinea che il sostegno alla riconferma di Tajani sarà lasciato cadere definitivamente solo una volta acquisita la certezza di una vittoria della candidatura D'Alema per un incarico che viene considerato dai più di maggiore prestigio politico. I tempi per decidere sono comunque molto stretti. Il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, vuole arrivare a completare la sua squadra il più presto possibile. E dopo la brutta esperienza vissuta nel 2004 — quando la bocciatura, da parte dell'Europarlamento, di Rocco Buttiglione (allora candidato al posto di commissario europeo) stava quasi per costargli il posto — guarda con ansia alle diatribe interne italiane.

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