Maroni in Lombardia, l'ultima idea del Cav
Nel cielo sopra il Cavaliere sono tornate a volare le colombe. Sarà la mitezza di questi volatili, ben più rassicuranti dei più aggressivi falchi, ma Silvio Berlusconi appare decisamente più concentrato e determinato nel risolvere i rebus delle regionali e del rapporto con l'opposizione. In questi quindici anni di esperienza fra governo e opposizioni sono stati infatti utili a perfezionare una tecnica nella quale l'attuale premier si è rivelato maestro imbattibile: far saltare il banco per poi rimettere insieme i pezzi, per quanto possibile a suo piacimento. Lo scontro con Tremonti, la sua accelerazione e la sua conclusione sono solo un esempio. Non l'ultimo. Berlusconi deve mettere ordine nel rapporto con la Lega, con Fini e persino fra i suoi dell'ex Forza Italia e deve cimentarsi nel tentativo di dare un verso ad una legislatura parlamentare che sembra aver smarrito il senso della sua missione. La quadratura del cerchio è difficile ma non impossibile. Per sciogliere il nodo delle regionali, il Cavaliere non può non partire dal Nord. Qui, diciamolo senza tanti giri di parole, le richieste della Lega non sono pretestuose: i numeri del partito di Bossi sono tali che un «riequilibrio» sul fronte degli enti locali ci sta tutta. Sin qui i riflettori sono stati puntati su Veneto e Piemonte. Prima si pensava che potesse bastare la candidatura di Cota in quest'ultima Regione, poi gli uomini del Carroccio si sono impuntati sul Veneto determinando una reazione durissima dell'attuale governatore Galan (Pdl), che di farsi da parte non ha alcuna intenzione. Il partito del premier si è schierato così nettamente in difesa del suo presidente di Regione che fare marcia indietro rischia di avere effetti devastanti nel morale dei militanti e dei dirigenti. Berlusconi ovviamente ha tranquillizzato tutti. In effetti, un'idea potrebbe averla: lasciare Piemonte e Veneto al Pdl (Ghigo e Galan) e trattare sulla Lombardia con uno scambio di ruolo fra Maroni e Formigoni. Troppo semplice? Chissà. Di certo è un modo non banale di incastrare tutti i pezzi del puzzle. Le colombe di Palazzo Chigi, come si può ben immaginare, non si accontentano di sistemare i conti interni al centrodestra. Sanno che per dare una prospettiva alla legislatura serve un accordo con l'opposizione o quanto meno un atto di disgelo. L'elezione di Bersani alla segreteria del Pd consente di archiviare l'equivoco su chi sia l'interlocutore dell'opposizione e quindi permette di avviare un dialogo autentico. E siccome a volte il caso ci mette lo zampino positivamente, ecco presentarsi l'occasione più ghiotta e forse irripetibile. Nel complicato gioco della governance europea tocca ai socialisti indicare il nome del prossimo ministro degli esteri Ue. Per farla breve, la rosa dei possibili candidati è composta da un austriaco (debole), un francese (insidioso e sostenuto dalla Merkel) e un italiano, Massimo D'Alema. Sostenendo l'ex presidente del Consiglio, Berlusconi potrebbe riuscire in un capolavoro diplomatico che coniugherebbe l'interesse nazionale con quello di confermare all'opposizione che lui, il Cav, è un interlocutore serio e affidabile. Sembra fantasia ma è politica. E siccome Berlusconi sa fare politica con fantasia, le colombe hanno la speranza che faccia la cosa giusta.