Marrazzo: "Mi dimetto, soffro troppo"
Alla fine Piero Marrazzo si è dimesso. L’ha deciso ieri mattina dopo l’ennesima notte insonne. Ci ha provato, in questi cinque giorni, a cercare una via d’uscita diversa. Ma non c’è stato niente da fare. «Non posso rimanere incastrato in questa situazione - ha detto ai suoi più stretti collaboratori - Meglio finirla qui, voglio chiudere con la politica. Voglio pensare soltanto alla mia famiglia». In questi giorni Marrazzo si è staccato da tutto. È rimasto a casa, a Colle Romano, a due passi da Riano. Non ha letto i giornali. Ma sapeva che non gli avrebbero fatto sconti, che l'avrebbero massacrato. Come da un po' di tempo fanno con tutti. Ovviamente li ha letti la moglie Roberta, anche lei giornalista, che non l'ha mai lasciato solo. «Deve dimettersi, così finisce questo killeraggio», ha insistito il suo staff. Pochi giorni fa quando il Pd (e la maggioranza in Regione) ha tirato fuori dal cilindro «l'impedimento temporaneo» sembrava una buona idea anche a lui, sfinito dalla bufera emotiva degli ultimi eventi. Ma quell'autosospensione era comunque un legame con la politica, dunque un ostacolo. «Mi devo liberare, voglio occuparmi soltanto di mia moglie e delle mie figlie» ha ripetuto più volte Marrazzo. Dunque ha scritto la lettera di dimissioni, inviata al vicepresidente del Lazio Esterino Montino e al presidente del Consiglio regionale Bruno Astorre. «Le mie condizioni personali di sofferenza estrema non rendono più utile per i cittadini del Lazio la mia permanenza alla presidenza della Regione» ha scritto. E ha aggiunto da ex presidente: «A tutti coloro che mi hanno sostenuto e a quanti mi hanno lealmente avversato voglio dire che finché mi è stato possibile ho operato per il bene della comunità laziale. Mi auguro che questo mi possa essere riconosciuto al di là degli errori personali che posso aver commesso nella mia vita privata». Giorni fa aveva ipotizzato di ritirarsi in un convento. Glielo avrebbero consigliato gli stessi medici che lo hanno visitato al policlinico Gemelli. Per tentare di recuperare un briciolo di serenità. Per ritrovarsi. Ma poi Marrazzo ha deciso di restare a Roma. Anche se per tutto il pomeriggio le indiscrezioni non si sono fermate. Prima è stato ipotizzato che stesse raggiungendo un convento in Umbria, poi l'abbazia di Montecassino, dove è stato ospite tante volte per l'amicizia di vecchia data che lo lega all'abate don Pietro Vittorelli. Non è mancato l'assedio preventivo di giornali e tv. Dal monastero è giunta una netta smentita: «Il dottor Piero Marrazzo non è attualmente ospite presso l'abbazia di Montecassino, anche se, come tutti ben sanno, la foresteria del monastero è sempre aperta a tutti». Alle venti passate è stato l'ufficio stampa della Regione a precisare che Marrazzo non si era mai mosso di casa. La moglie Roberta ha ricominciato a lavorare, tentando di carpire qualche brandello di normalità. Lui passa il tempo leggendo. «La Strada» di McCarthy è l'ultimo libro, cominciato prima che lo scandalo potesse soltanto immaginarsi. Racconta di un viaggio desolante e crudo di un padre e un figlio verso una salvezza possibile. Partendo da un punto: «Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un'origine comune nel dolore». Chissà, forse i libri non si leggono per caso. Adesso Piero Marrazzo va per una strada diversa. Senza politica. Sa che dipende dai suoi errori. Ripete con convinzione: «Basta, voglio chiudere con la politica». Paga un prezzo altissimo. «In famiglia c'era soltanto un grandissimo giornalista, mio padre - ha detto spesso ai fedelissimi - Io, piuttosto, ho sempre tenuto alla politica». E infatti quando nel 2005 è tornato a cimentarsi con i partiti, dopo tanti anni dall'impegno che aveva avuto con il Psi, ha riscoperto un mondo. Non è un caso che siano scesi in campo con lui gli amici di allora. Quelli che anche adesso non lo lasciano solo. Aspettando che ritrovi la strada giusta.