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Via Gradoli, rifugio segreto dei vip

Via Gradoli

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{{IMG_SX}}Qui ne vediamo tanti è un viavai di vip. Parlano e sono in festa i trans di Roma nord, sulla Cassia. Avere tv e giornalisti attorno ha schiarito loro la gola. E allora si sprecano in battute, mezze parole e sorrisetti tutti malizia e compiacimento. Ciaccolano senza freni e raccontano, forse anche senza troppa verità, la loro vita lasciando intendere il nome dei clienti affezionati e insospettabili che parcheggerebbero sotto le finestre e poi s'infilerebbero in casa e sotto le lenzuola. «Eeeeh, qui è un continuo. Passa di tutto - spiffera Silvia pettinandosi i capelli con le dita - Se uno dicesse i loro nomi la gente non ci crederebbe. Invece è così: ci sono persone famose che vengono da noi abitualmente». C'è l'attore che arriva in sella a uno scooter Burgman 400, e l'altro che si presenta su auto di lusso. La vicenda Marrazzo dimostra che anche i ricchi e potenti scivolano nell'ombra. Silvia è brasiliana, ha 52 anni. Nel suo paese ha lasciato tre figli che mantiene spedendo i soldi che guadagna battendo il marciapiede all'Acqua Acetosa, a Largo Sperlonga e nella sua alcova stile popolare, in via Due Ponti. È andata a fare la spesa in uno dei supemercati della zona. Sale le scale di casa in compagnia di un ragazzetto: lui l'aiuta a portare le buste cariche e lei lo ricambia con gentilezza. Silvia occupa uno dei tanti appartamentini dell'ex residence dove l'Alitalia una volta faceva alloggiare il suo personale di bordo in transito. Ora l'edificio somiglia a un alveare con tante "celle" a luci rosse. Ci sono panni stesi, bambini a giocare in strada, motorini parcheggiati e strade sconnesse. Sembra un'altra Cassia, un'altra Roma, dove anche gli odori sono diversi. In una scala, al primo piano, abita pure Brenda, nera e procace al silicone, il viados che insieme con l'altro trans brasiliano, Natalie, avrebbe (o non avrebbe) partecipato al festino col governatore del Lazio nell'appartamento di via Gradoli 96, sempre sulla Cassia. Nell'ex residence ci sono famiglie romene, bengalesi, africane, qualche italiano e anche la coppia di gay romani, avanti con gli anni, che per un anno hanno ospitato Brenda e la sua amica Michelle, ora pare sparita all'estero. Il traffico di clienti a via Due Ponti lo confermano tutti. I romeni lo tollerano, gli africani lo ignorano, blindati dietro le porte chiuse a due mandate, sopra e sotto. Gli italiani non ci fanno caso. Anzi, qualcuno ne approfitta. «Io - confessa Pino - lo dico a mio figlio: "Stasera papà va da un trans". Che c'è di male. Quando sarà lui ad andarci, perché ci andrà, non potrò mica fare l'ipocrita e dire che queste cose non si fanno, non sta bene o è pericoloso. Coi figli bisogna essere sinceri». I bengalesi invece sopportano a stento la frenetica attività dei brasiliani. «Alla fine dico che sto con Bossi - si sfoga uno dei residenti nel complesso, sposato e padre di un bimbo - Chi vuole rimanere in Italia deve lavorare e pagare le tasse, altrimenti via. Io mi alzo tutte le mattine alle 5. Anche se ho un regolare contrattato (pulisce lo studio di un avvocato, ndr) combatto sempre per rinnovare il permesso di soggiorno. Avrei diritto a un po' di tranquillità e di pulizia. E invece: qui è pieno di rifiuti, i trans spesso litigano e a volte diventano violenti. Le forze dell'ordine passano, ma stranamente il cliente esce un attimo prima che arrivino, segno che giunta la telefonata di qualcuno che sapeva e ha informato per tempo. Qui c'è un giro...».

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