Da Veltroni a Scalfari Tutti i perdenti del Pd
{{IMG_SX}}Bisogna saper perdere. Così cantavano i Rokes aggiungendo, con fare consolatorio, «non sempre si può vincere». Una colonna sonora perfetta per il dopo primarie del Pd. Perché se è vero, come ha detto Pier Luigi Bersani, che «è una vittoria di tutti. E nella vittoria di tutti c'è la mia vittoria». È altrettanto vero che dalle urne di domenica esce una lunga schiera di illustri sconfitti. Il primo, indiscusso leader dei perdenti, è sicuramente Walter Veltroni. In fondo Dario Franceschini era la prosecuzione dell'esperienza del Lingotto e il 35% raccolto nelle urne si commenta da solo. Quello uscito dalle primarie è quanto di più lontano dal partito che, per un fugace momento, l'ex sindaco di Roma ha sognato di poter costruire. I cittadini hanno detto chiaramente che non vogliono un Pd «liquido» ma preferiscono tessere, circoli e un segretario saldamente ancorato nella tradizione socialista capace di parlare con tutti senza annacquare la propria identità. A dire il vero i cittadini hanno detto soprattutto, dopo anni di scontro continuo, che a Veltroni preferiscono Massimo D'Alema. E la cosa non è proprio secondaria. Come se non bastasse, il buon vecchio Walter è stato abbandonato da tutti. Stavolta gli attori, i cantanti, i nani e le ballerine che avevano riempito le sue liste nel 2007 se ne sono rimasti tranquillamente a casa. Certo c'è stata qualche illustre eccezione (anche Nanni Moretti si è unito agli sconfitti), ma il Pd dei vip è stato cancellato in un sol colpo. Così come sono stati cancellate in un sol colpo alcune «creature» veltroniane. In Liguria l'ex sindaco di Bologna, l'uomo simbolo di una stagione della Cgil, il Sergio Cofferati che venne imposto a elettori e quadri Pd del Nord Ovest come capolista alle europee, non è andato oltre un misero 34,56%. Così potrà starsene tranquillamente a Bruxelles senza porsi il problema di come guidare il partito nella Regione. Sconfitta anche la sarda Francesca Barracciu (36,1%) che, dopo il treno per il Parlamento europeo, perde anche quello della segreteria regionale. Mentre a Roma e nel Lazio si registra le debacle di Roberto Morassut (assessore nella prima e nella seconda giunta Veltroni) che però potrebbe rientrare in gioco grazie ad un accordo con Ileana Argentin della mozione Marino. Senza contare che personaggi come l'imprenditore Matteo Colaninno, il sopravvissuto della ThyssenKrupp Antonio Boccuzzi e il segretario regionale della Lombardia Maurizio Martina si sono schierati da subito con Bersani. E non finisce qui. Goffredo Bettini, grande inventore del «modello Roma», si gode soddisfatto il successo della candidatura di Ignazio Marino. Nato praticamente dal nulla, il chirurgo ha ottenuto l'8% nei congressi e veleggia intorno al 13% nelle primarie. Qualche dubbio su chi aveva i voti tra Bettini e Veltroni? Nel disastro Walter può consolarsi con l'affermazione di Deborah Serracchiani in Friuli, ma è un po' pochino per chi ha guidato il partito quasi due anni. Nella lista degli sconfitti, poi, figura sicuramente Piero Fassino. L'ultimo segretario dei Ds, cofondatore del Pd, si era schierato da subito con Franceschini, diventando il portavoce della mozione. Tradito da un fedelissimo come Maurizio Migliavacca («l'uomo macchina» della Quercia) che ha seguito Bersani, ma anche dal suo Piemonte che ha scelto l'ex ministro. E c'è chi racconta che domenica notte il «povero Piero» se ne sia rimasto chiuso nella sua stanza a Sant'Andrea delle Fratte attonito davanti al computer che riportava i risultati delle primarie. Attoniti saranno rimasti anche Repubblica e l'Unità. O meglio Eugenio Scalfari e Concita De Gregorio. Il primo è stato l'autore dell'ormai famoso «lodo» che stabiliva che il candidato che alle primarie avesse ottenuto un voto in più sarebbe diventato segretario. In molti hanno letto nella proposta un assist a Franceschini, convinto fino all'ultimo di poter ribaltare il risultato dei congressi. E comunque il partito Repubblica ha sempre «tifato» per il segretario uscente che, a differenza di D'Alema e Bersani, appariva più malleabile nel farsi dettare la linea. Gli è andata male. Ma a Largo Fochetti, annusata l'aria che tirava, si sono cautelati con una dichiarazione del direttore Ezio Mauro il quale, in extremis, ha fatto sapere che avrebbe optato per un democristiana scheda bianca. Diversa la situazione nel quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Renato Soru ha «salvato» il giornale dopo un pressing di Veltroni che, poi, ha voluto De Gregorio alla direzione. Franceschini era il candidato favorito anche perché un po' tutti «tengono famiglia». Basterebbe un aneddoto a confermarlo. Si racconta che qualche settimana fa il segretario uscente abbia chiamato l'Unità lamentandosi per il trattamento riservatogli. Da allora il quotidiano ha inviato un giornalista (spesso unico al seguito) in ogni luogo in cui Franceschini è andato. Col senno di poi, visto i tempi che corrono, forse era meglio risparmiarsi quei soldi.