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Così si ferma il rinnovamento

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Nelmio circolo di via dei Giubbonari io ho preferito depositare una scheda azzurra con la preferenza per Dario Franceschini, sperando di affrancare il Pd dalla sua radice più marcata, quella postcomunista. Ho notato che a destra invece si invocava una vittoria di Bersani sperando in una ripresa di dialogo del centrosinistra con la maggioranza di governo. Credo che quest'attesa resterà delusa. Ma la vittoria dell'ex ministro di Romano Prodi è comunque piena di spine. La prima questione non facile da dirimere è quella delle scissioni. Bersani ha provato ad esorcizzarla con una dichiarazione secca: «Non ci saranno scissioni». Due ore dopo Francesco Rutelli ha annunciato il suo viaggio verso Pierferdinando Casini «non subito e non da solo». Per i diessini non è una sorpresa e un segmento degli iscritti al Pd di matrice postcomunista ha festeggiato esplicitamente su Facebook la dipartita del fu leader della Margherita, mostrando una tendenza all'egemonia che provoca l'espulsione degli elementi dialettici. Un impoverimento oggettivo della natura trasversale che aveva caratterizzato i primi due anni di vita del Partito democratico, resa plasticamente con l'arrivo alla segreteria nazionale di un figlio della Democrazia cristiana emiliano-romagnola. La seconda questione è quella del rinnovamento. Bersani ha la cassaforte dei consensi (mezzo milione di voti) in due regioni del Sud come Campania e Calabria dove Antonio Bassolino e Agazio Loiero risultano essere i veri trionfatori di queste elezioni primarie, alla faccia di ogni predica sulla necessitò per il Pd di cambiare facce per essere credibile. Il che è vero sul piano esterno in termini di competizione con la destra, ma la platea interna al partito sembra caratterizzata da un istinto alla conservazione che per certi versi preoccupa. Così Bersani ieri si è lanciato in una dichiarazione sconfortante sul rinnovamento che andrà compiuto «con la protezione» dei leader storici, cioè dei soliti noti della nomenklatura, secondo una preoccupante logica da padrinato cooptativo. Su tutto questo si innesta la terza e più importante questione: il 29 marzo si vota per le elezioni regionali, potrebbero essere già elezioni decisive. E la débacle morale del caso Marrazzo rischia di allungare un'ombra pesante sulla credibilità di una battaglia per battere la destra di governo. Il Pd è arrivato al terzo segretario nazionale in due anni. Bersani dovrà dimostrarsi di fibra forte per reggere per tutta la quadriennale durata del suo mandato. Il suo fallimento, peraltro, sarebbe la fine del partito. Massimo D'Alema d'altronde utilizzando la faccia bonaria di Bersani è riuscito a scippare a Walter Veltroni la creatura-sogno dell'ex sindaco di Roma. Vedremo se sarà in grado di garantirgli un futuro politico degno.

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