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Riecco Gianfranco

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Gianfranco Fini

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Il Pdl riscopre Fini. All'improvviso. Dopo averlo attaccato, criticato, anche denigrato e sotto sotto un po' insultato e deriso. Al presidente della Camera sono arrivate anche telefonate inaspettate, anche da parte di big del partito che pubblicamente avevano espresso riserve nei suoi confronti. Che succede? Sono impazziti nel Pdl? È rinsavito Fini? Niente di tutto ciò, o forse un po' di tutto. L'estate è trascorsa con un Fini su di giri, che sembrava aver preso di mira essenzialmente il suo partito, il partito di cui è cofondatore. E Il Tempo è stato tra i primi giornali a stigmatizzare questo comportamento soprattutto perché i toni sono apparsi, e per certi versi lo erano, eccessivi. Persino un comico come Maurizio Crozza è arrivato a candidarlo alla guida del Pd. Di sicuro Silvio Berlusconi s'è convinto, o peggio è stato convinto, a credere che il suo ex vicepresidente del Consiglio avesse un disegno preciso: aspettare la sua caduta, magari agevolarla, e aspettare poi un incarico per formare un governo tecnico, governissimo o qualcosa di simile con l'appoggio anche di fuoriusciti del Pdl, Udc e Pd. Il tutto agevolato dalla bocciatura del lodo Alfano che, di tutte le indiscrezioni, s'è rivelata l'unica ad avere un fondamento. Il festival del complottismo è finito solo quando Fini ha chiarito in modo inequivocabile che lui si muove dentro il Pdl e che comunque non pensa a una successione di Berlusconi se non con il suo accordo. La sua era piuttosto aspirazione a porre temi nel dibattito, desiderio di vedere regole all'interno del partito, sogno di costruire un'anima, un'identità al Pdl. Depurate le asprezze e le incertezze e le incomprensioni di settembre è rimasta la politica. E la politica è essenzialmente una richiesta forte: non si può avere un partito fermo, immobile, imbolsito. Peggio, un Pdl che va a traino. A chi gli ha parlato il presidente della Camera ha spiegato: «Bisogna che la nave recuperi una sua rotta». E la nave ovviamente è il governo, che negli ultimi mesi sembra non avere più un'agenda, sembra aver dimenticato il programma. Fini aveva posto anche un'altra questione che è stata sottovalutata. E cioé che in una coalizione non è pensabile che il partito che ne rappresenta l'80% vada a rimorchio della forza che ne costituisce appena il 20. Insomma, non è pensabile che il Pdl se si muove è solo per andare a traino della Lega. Quanto accaduto sabato ad Arcore non ne è solo la conferma ma spiega come ormai si sia compiuto un passo in avanti. Che cosa è accaduto? È accaduto che il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, al culmine del suo scontro con tre quarti di governo e in particolare con il premier in persona, si sia presentato al colloquio decisivo a casa di Berlusconi scortato da Bossi e Calderoli senza che Berlusconi fosse stato preventivamente informato. Un modo per dire: se cacci lui ce ne andiamo tutti, tocchi lui e tocchi tutti noi. E, come se non bastasse, all'uscita da villa San Martino Bossi mette in chiaro che è andato tutto bene, il governo è solido. A sentire le fonti berlusconiane non è esattamente così. Un big del Pdl come Maurizio Gasparri, non certo sospettabile di esser lontano dalle posizioni del premier, proprio da queste colonne è arrivato a denunciare quegli incontri a tre ad Arcore reclamando maggiore collegialità. Che poi è quello che chiedeva a gran voce un vicepremier nel 2003. Si chiamava Gianfranco Fini.

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