Primarie, la sinistra non è più di moda
Imprenditori voltagabbana, banchieri pronti a cambiare cavallo, boiardi di Stato che fiutano il vento e sindacalisti che tradiscono quasi sulla linea del traguardo. Altro che Jovanotti, Marcorè e Gene Gnocchi. La vera partita delle Primarie Pd non si gioca tra i testimonial dello show-biz, ma nelle segrete stanze dei poteri forti. Che in Italia si muovono nell'ombra, a caccia di sponde future, anche quando la competizione è di secondo livello e riguarda la scelta del leader di un partito che chissà quando esprimerà un presidente del Consiglio. In gioco, però, nel futuro scacchiere del centrosinistra, c'è anche tutto il sottobosco di nomine, incarichi, consulenze e intrecci lobbistici che i Democratici, dalle amministrazioni locali in su, non rinunciano a manovrare. Per questo i due contendenti, Pierluigi Bersani e Dario Franceschini (ma non Ignazio Marino, che al massimo si può ricollegare a qualche lobby farmaceutica) sono da tempo al lavoro per tessere la tela in vista del voto di domenica. Di sicuro ai gazebo del Pdl, stavolta, non si vedranno imprenditori e banchieri in fila, come accadde per le Primarie dell'Ulivo, il 16 ottobre del 2005, quando banchieri come Corrado Passera e Bazoli ostentarono la propria presenza alle urne che incoronarono Prodi leader. Stavolta, invece, i big dell'economia non si faranno vedere, il carro del vincitore è al momento quello berlusconiano: ma faranno sapere... Premesso che se dici Bersani e Franceschini, leggi D'Alema e Veltroni, la prima partita è già finita uno pari, quando in ballo c'era il voto degli imprenditori del nord-est e della bassa padana. Qui è arrivata la prima sorpresa. L'ex veltroniano, Matteo Colaninno, s'è schierato con l'ex ministro mentre l'attuale segretario è riuscito a tenersi stretto Massimo Calearo. Ma con i veltroniani sta anche Maria Paola Merloni, anche lei beneficiata di un posto in Parlamento dall'ex sindaco di Roma. Su un terreno insidioso si muovono invece i banchieri, in linea di massima ostili (ma con importanti eccezioni) al candidato Bersani, colpevole di averli colpiti direttamente nei propri interessi con la lezuolata sulle liberalizzazioni. Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa-San Paolo, da sempre prodiano di ferro, stavolta sta con l'amico Enrico Letta, che sostiene Bersani; Alessandro Profumo, a capo di Unicredit, e Giovanni Bazoli, il banchiere cattolico da sempre vicinissimo all'ex premier bolognese, dovrebbero sposare l'opzione Franceschini come garanzia di stabilità e di argine alla deriva laicista del Pd. Ma Massimo D'Alema, diabolicamente, da mesi lavora nell'ombra anche nel mondo del credito. Non è un caso se ne luglio scorso la sua Fondazione «Italianieuropei» abbia chiamato a raccolta numerosi banchieri e imprenditori in un convegno dal tema «Quale futuro per le banche italiane». In prima fila c'era il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi, accreditato di simpatie dalemiane, il vice presidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona, il presidente del Monte dei Paschi di Siena, Giuseppe Mussari, il presidente di Bnl, Luigi Abete, ma anche il presidente di Rcs, Piergaetano Marchetti, il vicepresidente dell'Abi Pietro Modiano, il numero uno di Assogestioni, Marcello Messori, e dell'Aifi, Giampio Bracchi, i consiglieri di sorveglianza di Intesa Sanpaolo Rosalba Casiraghi e Ferdinando Targetti, il presidente di Unipol Pierluigi Stefanini. Tra loro vanno cercati i sostenitori di Bersani alle Primarie, con qualche eccezione, come quella del romanissimo Luigi Abete, da sempre veltroniano. Con l'attuale segretario del Pd, proprio nella Capitale, oltre all'ex braccio destra di Geronzi, Matteo Arpe, si schierano anche le grandi famiglie di costruttori, come i Mezzaroma e i Toti, gli imprenditori del settore sanitario Angelucci, oltreché i manager Chicco Testa, Fabiano Fabiani, Raffaele Ranucci, Lorenzo Cremonesi, Paolo Cuccia, Giovanni Malagò e Andrea Mondello, presidente della Camera di Commercio. Con Franceschini c'è anche il partito di Repubblica, capeggiato dalla tessera numero uno del Pd, Carlo De Benedetti, così come il potente petroliere milanese Massimo Moratti. Di difficile lettura, invece, il posizionamento del partito Fiat, ma i tradizionali ottimi rapporti del Lingotto con il «pontiere» Piero Fassino farebbero ipotizzare un sostegno del management che fa capo a Sergio Marchionne all'asse Veltroni-Franceschini. Tra i finanziatori della Fondazione «Italianieuropei» di D'Alema è possibile trovare nuovi spunti per tracciare la mappa dei potenti che sostengono Bersani. Oltre a tutto il mondo delle cooperative, con Bersani stanno anche il costruttore rosso Alfio Marchini, Guidalberto Guidi, Francesco Micheli, Gianfranco Dioguardi e Paolo Marzotto. Senza dimenticare, tra i boiardi di Stato, l'attuale amministratore delle Ferrovie Mario Moretti. Abbastanza chiaro anche il quadro delle alleanze nel mondo sindacale. Guglielmo Epifani ha "tradito" il patto veltroniano schierandosi con Bersani, con Franceschini ci sono la Cisl, parte della Uil, l'ex segretario della Cgil Sergio Cofferati, Paolo Nerozzi e Achille Passoni.