Mafiosi, corrotti, stupratori Nel Pd è emergenza democratica
Troppo facile. Sarebbe troppo facile ora mettersi a ironizzare sulla vicenda di Piero Marrazzo. E sarebbe anche troppo facile fare provocazioni. Nel Napoletano s’accusa il presunto candidato del Pdl di essere un camorrista e si scopre che vittima e killer di un omicidio sono entrambi iscritti al Pd. Qualcosa di simile era accaduto nell’assassinio di Fortugno in Calabria proprio nel giorno delle Primarie quando il vicepresidente del consiglio regionale venne ammazzato in quella che di fatto può considerarsi una faida interna. Mentre in Puglia si pretendevano rapporti sessuali in cambio di appalti pubblici. Verrebbe da dire che davvero nel Pd di tanto in tanto c'è qualche infiltrazione di qualche onesto. E si può continuare. A Roma si lancia una campagna sulla sicurezza per mettere sott'accusa il sindaco per i troppi strupri e poi si scopre che il principale protagonista di quelle violenze seriali è un proprio iscritto. E avanti così. Si chiedono le dimissioni del premier perché sarebbe ricattato da una escort e non si ottengono quelle di un governatore del Lazio sebbene sia acclarato sia stato ricattato. L'elenco prosegue, ogni settimana spunta un nuovo caso al punto che non si va molto lontano se il quadro che ne viene fuori sembra che nel Pd saltuariamente spunta una mela buona. Sarebbe troppo facile far la morale. Ma sembra davvero eccessivo che in quel partito si continui a fare finta di nulla. Non si tratta di un caso, di un episodio. Bensì di una serie impressionante. Di un problema democratico. Di un'emergenza democratica. Chi comanda in questo cavolo di partito? Con quali regole? Chi seleziona i militanti? C'è un servizio d'ordine? Chi controlla chi? Chi fa le verifiche se verifiche si fanno? Qualche caso? In Campania sono spuntani seimila nuovi iscritti in un solo giorno. In provincia di Caserta, ovvero in un'area ad alta densità camorristica, ci sono diecimila iscritti, più dell'intera Lombardia. Ci sono paesoni, città in cui il Pd ha più tessere che voti, un caso unico tra le democrazia occidentali. Tutti lo sanno e tutti guardano dall'altra parte. Il punto è che il Pd sembra non avere alcuna coerenza tra ciò che sostiene pubblicamente e i comportamenti dei suoi iscritti, militanti, dirigenti e finanche leader. E non solo nel privato, anche nella normale attività politica di tutti i giorni. Un convoglio ferroviario in deragliamento continuo. In Abruzzo la giunta regionale è stata spazzata via dalle inchieste per corruzione. Poi è toccato al sindaco di Pescara. E nessuno s'è posto il problema del rinnovamento. Chi si batte per questo partito, e di persone per bene ce ne sono a iosa, deve sentirsi come a bordo dell'aereo più pazzo del mondo. Prendiamo il caso di Marrazzo. A guardare le reazioni e la rapidità con cui il governatore è stato scaricato c'è da rimanere impressionati. Così, un'alzata di spalle e via. Come se tutto fosse già noto a tutti e nessuno fosse stato colto di sorpresa. Fatto fuori, accompagnato alla porta senza che nessuno abbia fatto un minimo di autocritica, senza che il partito abbia dato la benché minima spiegazione agli elettori. Chi sapeva perché non è intervenuto prima? Perché nessuno ha accompagnato il presidente del Lazio dai carabinieri? E che razza di via d'uscita è l'autosospensione? È solo un modo per evitare le elezioni subito come se la Regione fosse affare privato, è cosa loro. Prendiamo il caso Marino, il candidato alla segreteria del Pd. L'uomo che si è presentato come il nuovo e per prima cosa ha sollevato la questione morale nel suo partito. Bene. Salvo poi scoprire che è stato licenziato da un'università americana perché faceva la cresta sui rimborsi spesa. Non c'è limite alla decenza, non c'è freno. Ognuno può fare quel che vuole, senza ritegno. Senza vergogna. Oggi si vota per le primarie. Servirebbero ad eleggere un segretario. Di cosa? Di un partito che non c'è. Volevano fare il partito liquido e si sono trovati il partito liquefatto. Senza regole, senza criteri, dove ognuno fa come gli pare. Dove il vertice nazionale chiede a un presidente di una Regione, Bassolino, di farsi da parte e quello dopo quasi due anni è ancora lì. Non è affare da prendere sotto gamba. È una questione democratica. Perché si tratta del secondo partito nazionale, di un partito che rappresenta tra un terzo e un quarto degli elettori. Si tratta di un partito che governa Regioni, Provincie e Comuni. È la principale forza di opposizione. Ebbene, si tratta di una forza della quale non si è capita la linea politica, la linea di demarcazione, che non ha un «servizio d'ordine», non è in grado di alzare barriere, che sostiene tesi ma adotta pratiche opposte. Sarebbe affare loro. Sarebbe affare del Pd, dei suoi dirigenti e dei suoi elettori. Sarebbe se fossimo in una situazione normale. Nell'era dei listini bloccati, degli eletti paracadutati, dei parlamenti decisi a tavolino no. Non è più solo un affare loro. Perché vorremmo capire per effetto di che cosa si diventa deputati del Pd. Deputati e presidenti di Regione. Consiglieri comunali e assessori.