Tremonti furibondo: torna lo spettro delle dimissioni
Tensione, mugugni, equilibri sul filo del rasoio. Uno scenario con al centro un solo uomo, Giulio Tremonti, all'ennesima arrabbiatura stavolta per l'annunciato taglio dell'Irap. E nella maggioranza cresce la fronda contro il titolare di via XX settembre: tra i colleghi, nel governo, nel Pdl, e persino dentro una parte della Lega. In questo scenario, sono costanti le voci di dimissioni del ministro dell'Economia, rumors su Giulio furibondo, isolato e, così come fatto nel luglio 2004, pronto ad andare via sbattendo la porta. Solo voci, ovvio. Ma i segnali di malessere ci sono tutti. L'ultimo episodio ieri pomeriggio: appresa la notizia dell'annuncio di Berlusconi di abolire l'Irap, il titolare del Tesoro sarebbe andato su tutte le furie. Non ci sono i soldi per fare un'operazione di questo genere, avrebbe ragionato Tremonti. In serata poi sarebbe arrivata la telefonata prima di Gianni letta e poi dello stesso premier: Berlusconi alza il telefono dalla dacia di Vladimir Putin sul lago Valdai e rassicura il suo ministro, proponendogli di avere un colloquio chiarificatore questa mattina prima del Consiglio dei ministri, per spianare ogni possibile conflitto. Un gesto molto gradito da Tremonti, pronto ad arrivare alla conta tra i colleghi della squadra dell'esecutivo: della serie, sapere chi è con lui e chi invece no. Consapevole, spiegano fonti di governo, che ormai il gruppo che gli rema contro è evidente a tutti e, soprattutto, che così non si arriva da nessuna parte. Fintanto che ha il sostegno di Bossi, dicono i leghisti, nessuno può toccarlo. E in effetti, anche ieri, il senatur tornato a difendere il superministro in modo netto: «Tremonti non si tocca». La tensione cresce. Al centro della scena c'è ancora una volta Tremonti, l'uomo che ha rispolverato il valore del posto fisso alla luce dell'economia sociale di mercato, e che l'altro ieri i coordinatori del Pdl hanno dovuto difendere da un documento apocrifo di critica comparso in rete nel quale si dava voce a molte insoddisfazioni latenti della maggioranza. L'impressione è che all'interno del governo, sulla figura di Giulio si confrontino più posizioni, a volte molto distanti tra di loro, e che il Cavaliere ne tenti la sintesi anche a costo di frizioni con i suoi ministri. Giovedì scorso sono andati alla carica Fitto, Prestigiacomo e Scajola. Poi ci sono Brunetta e Sacconi che non sopportano la campagna di Tremonti contro le banche e l'ultima uscita sul posto fisso che fa a pezzi la legge Biagi. C'è poi un altro fronte su cui, nella maggioranza, si sta giocando un partita delicata: le regionali, con il duello ormai costante tra Pdl e Lega. Sul voto del 2010, l'unica cosa certa per ora è la data: 28 e 29 marzo. In caso di ballotaggio poi, si tornerà alle urne l'11 e il 12 aprile. Per il resto il quadro delle candidature è in alto mare. Con ultimatum lanciati, accordi rivendicati, equilibri sul filo del rasoio. I coordinatori nazionali del Pdl sono impegnati in un giro di consultazioni tra le parti per arrivare, dicono, all'elenco completo entro i primi di novembre. Nel frattempo però Bossi continua a piantare i suoi paletti, a marcare il suo territorio in nome, rivendica il senatur, «degli accordi» con il premier. Affermando, così, che per quanto riguarda loro, la partita del Veneto è chiusa e il candidato sarà Luca Zaia. Una posizione che però viene smorzata immediatamente da uno dei triumviri del Pdl Ignazio La Russa, il quale spiega che non c'è alcun accordo e che ancora tutto da decidere. La giornata è cominciata con un lungo faccia a faccia negli uffici della Camera tra Fini e Bossi. Con loro anche il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli e il capogruppo della Lega a Montecitorio Roberto Cota. Il presidente della Camera - riferisce chi ha parlato con lui dopo l'incontro - non ha potuto fare altro che ribadire quanto già anticipato sul "Corriere", e cioè che una doppia candidatura (Veneto e Piemonte) del Carroccio nel nord «è oggettivamente problematica». Non si sblocca neanche la situazione in Campania, dove sul candidato in pole position Nicola Cosentino, pesa il freno di Gianfranco Fini. Il sottosegretario all'Economia non fa passi indietro e a questo punto si aspetta solo il vertice tra i tre leader (Berlusconi, Fini, Bossi) nei prossimi giorni. Anche sul Lazio, continua il toto nomi: Renata Polverini, resta la favorita (stando alle voci di Palazzo, il segretario Ugl avrebbe già cominciato a cercare una sede dove fare la campagna elettorale). Anche qui però, nulla di certo. Possibili alleanze? «Io sono a favore dell'alleanza con l'Udc - risponde il capogruppo Pdl in Senato Maurizio Gasparri -. L'Udc, infatti, fa parte del Ppe e in termini di valori e scelte di fondo ha una sintonia forte con il Pdl. Purtroppo poi fa scelte politiche differenti nella politica nazionale e nel territorio».