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La grande scommessa è ridurre l'Irpef

Il modulo per la denuncia dell'Irap

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La ripresa c'è, ma quale ripresa? Se i principali indicatori economici ci dicono che la punta dell'iceberg della crisi, la più grave dal terribile 1929, è, ormai, dietro le spalle, l'importante è capire quando il piroscafo Italia potrà cominciare a navigare davvero a velocità spedita. Secondo l'analisi condotta da «Economia reale», la società di studi econometrici guidata dal senatore Mario Baldassarrri, ci vorranno, infatti, almeno 7 anni perché il Pil possa tornare ai livelli del 2007, cioè ai livelli precedenti lo tsunami finanziario.   È chiaro che, di fronte a un recupero così stentato, il governo è chiamato a fare anche l'impossibile per consolidare i primi, timidi, segnali d'inversione del ciclo. In che modo? Da una parte dovrà avviare un vasto programma di opere infrastrutturali che potranno anche dare lavoro aggiuntivo e che saranno finanziati da un tesoretto molto meno fantomatico di quello promesso, anni fa, dall'allora ministro Padoa-Schioppa: i proventi racimolati dal rientro dei capitali dall'estero, reso oggi possibile dal tanto bistrattato ma sacrosanto scudo fiscale. Dall'altra, il governo dovrà invece stimolare i consumi delle famiglie. E qui sta il nocciolo della questione perché la strada praticabile per raggiungere l'obiettivo è una sola: la riduzione dell'Irpef. Quell'Irpef che, per colpa di Padoa-Schioppa, ha raggiunto punte insostenibili favorendo, così, l'evasione fiscale che oggi Tremonti vuole combattere proprio con lo scudo. Le cifre parlano chiaro: siamo al top in Europa per la pressione fiscale e, in questa situazione, le famiglie non possono certo spendere di più. Bisognerà, quindi, agire sulla leva delle entrate pubbliche, alleggerendo le aliquote che oggi stanno strozzando l'economia. Prima delle elezioni politiche del 2008, il taglio delle tasse era uno dei punti qualificanti del programma del Pdl, ma poi c'è stata la crisi economica che ha costretto Tremonti a rivedere tutti i piani. Intendiamoci, ancora adesso non ci sono affatto le condizioni per allentare la pressione perché il debito pubblico è tornato a lievitare, ma è giunto, comunque, il momento di giocare il tutto per tutto, rischiando persino più del necessario.   Il segnale, al di là delle dimensioni dei tagli, sarebbe importantissimo finendo per rafforzare quella ripresa che è, oggi, assolutamente prioritaria. Il problema è: come conciliare tutto ciò con un debito pubblico così elevato? Difficile dirlo ed è proprio questo il «miracolo» che Tremonti è chiamato a compiere: se ci riuscirà, magari con una maggiore collaborazione delle grandi banche, il professore valtellinese sarà davvero il taumaturgo delle nostre finanze. Mi rendo conto che l'impresa è proibitiva, ma il ministro dispone, ancora, di qualche «atout». Parlo, ad esempio, dell'effetto indotto del rientro dei capitali in Italia. Al di là del gettito immediato, ci sarà anche l'emersione di una fetta di risparmi che prima, essendo all'estero, sfuggiva a qualsiasi controllo tributario, ma che dal 2010 sarà sotto osservazione: nei prossimi anni ci potranno, quindi, essere, su questo fronte, maggiori entrate del Fisco che potranno, sia pure in parte, compensare il «buco» creato dalla riduzione dell' Irpef. È un momento molto delicato per il Paese: è il momento che il governo rimetta la barra al centro.  

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