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Il Csm fa quadrato: giudici implacabili ma mai con se stessi

Il giudice Raimondo Mesiano

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Non toccate i magistrati. Non indagate sui loro calzini turchesi o sulle loro abitudini nel week end. Guai poi a filmarli mentre si tagliano i capelli. Si tratta di "una forma di condizionamento". Lo ha stabilito ieri il plenum del Consiglio superiore della magistratura votando a larghissima maggioranza (voto contrario dei consiglieri laici del Pdl Gianfranco Anedda e Michele Saponara) una pratica a tutela di Raimondo Mesiano, il giudice estensore delle sentenza sul lodo Mondadori balzato agli onori delle cronache per essere stato seguito e filmato da una troupe della trasmissione Mattino 5 condotta da Claudio Brachino e Federica Panicucci. Cos'è una pratica a tutela è presto detto: si tratta di un atto a sostegno dei magistrati che si rende necessario quando è in atto un'azione volta a minacciarne l'autonomia e l'indipendenza. Il video andato in onda su Canale 5, unito ad alcune frasi pronunciate dal premier «destano - secondo i magistrati - allarmata preoccupazione in considerazione del fatto che possono produrre oggettivamente una forma di condizionamento per ciascun magistrato nell'esercizio della funzione giurisdizionale». Insomma, per dirla con le parole del vicepresidente del Csm Nicola Mancino, «il potere più è forte, più può intimidire. L'uso del consenso contro altri poteri è deviato e porta a ubriacature. C'è preoccupazione per il clima invivibile che si è creato nel Paese e che lo rende insensibile rispetto ai valori». E se proprio non bastasse ecco che Mancino si fa portavoce del Quirinale facendo sapere che anche il presidente Napolitano «condivide il fatto che questa vicenda ha connotati inquietanti». Ora, al di là del merito della vicenda, ci sono due cose che saltano subito all'occhio: da un lato la rapidità con cui il Csm è sceso in campo a tutela di Mesiano (la proposta di Anedda e Saponare di rinviare la discussione sulla pratica al 4 novembre per poter approfondire il caso è stata bocciata senza appello), ma soprattutto, non più tardi di un mese fa, il Csm ha bocciato la richiesta, avanzata dallo stesso Mancino, di aprire una pratica a tutela del pm Desirèe Digeronimo. Chi è? La signora che sta indagando sulla Sanità pugliese cui il governatore Nichi Vendola, in una lettera aperta, aveva rivolto pesantissime accuse (anche quella di dover abbandonare l'inchiesta vista la sua «rete di amici e parenti»). Ebbene il plenum non ha nemmeno discusso il caso visto che la prima commissione di Palazzo dei marescialli ha deciso di bocciare la pratica. Perché? La domanda rimarrà, probabilmente, senza risposta. Così come rimarrà senza risposta un'altra annosa questione: come mai il Csm è così solerte a difendere i «suoi» magistrati e così lascivo nel punirli? Stefano Livadiotti, giornalista de L'Espresso, lo ha scritto recentemente nel suo libro «Magistrati l'ultracasta»: «La sezione disciplinare è il binario morto del Csm. Una fabbrica di assoluzioni spesso motivate con sentenze al limite del grottesco. Così le toghe hanno 2,1 possibilità su 100 di incappare in una sanzione. Che comunque, anche nei casi più gravi, è sempre all'acqua di rose. Risultato: in otto anni quelli che hanno perso la poltrona sono stati lo 0,65%». Seguono 43 pagine zeppe di esempi. Eppure non è che i problemi non esistano. Secondo il rapporto Eurispes del 2009 tra il 2002 e il 2007 lo Stato ha pagato 213 milioni di euro di risarcimenti: il 97% legati a ingiusta detenzione cautelare, il 3% a errori giudiziari. Non solo, ma la spesa per errori giudiziari ammonta a 2,1 milioni di euro. Lo Stato paga, i cittadini pagano e i giudici? Si tutelano.

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