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Fini e Tremonti si sfidano Intanto il governo arranca

Gianfranco Fini e Giulio Tremonti

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Alle cinque e un quarto di ieri pomeriggio il Pdl alla Camera è stato battuto su una richiesta di sospensione dei lavori sul decreto salva-precari della scuola. Qualche ora prima Giulio Tremonti si affannava a spiegare che la sua difesa del posto fisso, pronunciata il giorno prima, «è una cosa scontata. Come dire, preferisco stare al caldo che al freddo». Insomma un ragionamento, un'idea. Sulla quale però per due giorni si è scatenato il dibattito all'interno del centrodestra. Sono le due facce di un solo problema, la difficoltà del governo di andare avanti. Di produrre, negli ultimi mesi, leggi e provvedimenti che incidano concretamente sulla vita del Paese. Da una parte c'è una maggioranza che, anche per colpa di assenze immotivate, in aula non riesce a lavorare, dall'altra ci sono discussioni su progetti che non sono assolutamente in agenda. Come l'idea lanciata dal «finiano» Adolfo Urso di introdurre a scuola l'ora di religione islamica. Progetto buono per alimentare un dibattito in un talk-show televisivo serale. Non certo capace di tradursi in un atto governativo. Sullo sfondo, intanto, c'è la corsa di due numeri due che pensano già al «dopo Berlusconi»: Gianfranco Fini e Giulio Tremonti. Ha iniziato il Presidente della Camera a «smarcarsi» dall'ombra del premier con le sue proposte sugli immigrati, lo ha seguito il ministro dell'economia che non vuole restare indietro nella corsa a una futura, probabile, leadership del Pdl. Tanto preoccupato che la sua proposta sul posto fisso potesse essere archiviata dal Pdl come una delle idee «irricevibili» da chiedere a Berlusconi di intervenire in prima persona. E il premier, in una nota, ha spiegato di essere in «completa sintonia con il ministro Tremonti». Costringendolo, però, a difendere posizioni contrastanti tra di loro, a ricorrere a quella logica del «ma anche» che ha decretato l'insuccesso di Walter Veltroni. «Per noi — ha proseguito Berlusconi — come dimostrano i provvedimenti presi in questi mesi a tutela dell'occupazione, è del tutto evidente che il posto fisso è un valore e non un disvalore. Così come sono un "valore" le cosiddette partite Iva. Il governo è a fianco dei milioni di italiani che lavorano come collaboratori dipendenti così come è a fianco di milioni di italiani che intraprendono, rischiano e producono ricchezza per sè e per i loro collaboratori, nell'interesse dell'Italia». Ma la corsa «parallela» dei due pretendenti è di lunga data. Gianfranco Fini difende la laicità, i diritti delle minoranze, il ruolo del Parlamento e la necessità di riforme istituzionali «condivise». Giulio Tremonti, invece, è diventato il portavoce dei diritti dei lavoratori. Il primo ha iniziato liquidando il fascismo come «male assoluto». Poi, nell'ultimo anno, ha martellato il Pdl sul tema degli stranieri. Spiegando che «respingere l'immigrato clandestino non viola il diritto internazionale, ma sarebbe auspicabile verificare chi ha il diritto all'asilo politico». Facendo presentare dai suoi uomini una proposta di legge (la cui discussione per il momento è stata accantonata nella commissione Affari costituzionali) per accorciare la concessione del diritto di cittadinanza agli stranieri da dieci a cinque anni. Difendendo la posizione «laica» dello Stato sul testamento biologico, e arrivando, velatamente, a minacciare un suo intervento diretto in aula se non ci saranno cambiamenti. «Il Parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso», ha ribadito più volte. Poi ha difeso Napolitano, la Corte costituzionale e la necessità di coinvolgere nelle riforme anche l'opposizione: «È opportuno farle a larga maggioranza». Tremonti non è rimasto indietro. Ma si è piazzato, per correre, su un'altra corsia. Il ministro dell'Economia ha smesso di esaltare il virtù del liberismo e del capitalismo ed è passato alla difesa delle persone e dei lavoratori dallo sfruttamento. Ha messo sotto accusa «il mercatismo» e poi ha spiegato di volere una «economia etica» contro la finanza internazionale. Nel 2008 ha introdotto la Robin Hood Tax, una imposta sui superprofitti di compagnie petrolifere, banche ed assicurazioni per dire «basta con i sacrifici per i poveri. Qualche sacrificio dovranno farlo le banche e le compagnie petrolifere». Ad agosto, al meeting di Cl si è spinto un po' più in là: «L'azione degli operai dell'Innse di Milano che hanno salvato l'azienda è una ispirazione per il governo per favorire una compartecipazione agli utili da parte dei lavoratori». Lunedì, infine, ha rotto il mito liberista, fino ieri osannato, della flessibilità del lavoro per sostenere la competitività del mercato globale. E la sfida continua.

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