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Letta: "Servono regole condivise"

Gianni Letta

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Silvio Berlusconi lo ha ripetuto fino alla nausea: se l'opposizione non vuole dialogare sulle riforme, vado avanti da solo. Una posizione ribadita anche ieri, sulle pagine del Tempo, dal ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola: «Serve un termine temporale per possibili convergenze. Poi procederemo da soli». Eppure non sono pochi, all'interno della maggioranza, a non gradire la linea dell'autosufficienza. Tra questi c'è, ovviamente, il presidente della Camera Gianfranco Fini, ma da ieri, c'è anche uno degli uomini più vicini al Cavaliere. Anzi l'uomo di cui Berlusconi non si priverebbe mai e poi mai: Gianni Letta. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è da sempre considerato il mediatore per eccellenza. La storia ricorderà per sempre il «patto delle crostata» siglato a casa sua da Berlusconi e D'Alema ai tempi della Bicamerale. Naturale quindi, che sul tema delle riforme il suo pensiero sia piuttosto distante da quello del premier. Così, parlando ad un convegno sul rapporto tra sport e politica, Letta coglie la palla al balzo per lanciarsi in una metafora che non lascia spazio all'immaginazione. Nel mondo dello sport, spiega, i club, anche quelli di calcio, si danno insieme le regole del gioco. Ma «nessuno dice che è inciucio, perché un ambito comune in cui tutti possono riconoscersi» è il giusto presupposto anche per uno scontro duro sul campo. «Perché mai - si domanda - quello che vale per lo sport non dovrebbe essere mutuato dalla politica? Mai come oggi lo sport può essere utile alla politica italiana». E affinché il messaggio sia ancora più chiaro continua: «Il valore dello sport sta nella competizione che presuppone l'unione di intenti e così dallo scontro può venir fuori qualcosa che sia nel bene comune. In Italia il calcio è una vera fede e la scelta della squadra è irreversibile: chi nasce romanista non diventa laziale, così come un rossonero non tinge i suoi colori di bianconero o nerazzurro» «I colori della propria squadra - insiste - diventano segno di rivalità, ma nemmeno il tifoso più accanito ha mai gridato all'inciucio se la sua squadra partecipa alla definizione delle regole del gioco: queste sono il presupposto comune e la cornice condivisa perché ciascuno possa gareggiare per sconfiggere l'avversario. Il confronto può essere anche duro, perché garantito da regole in cui tutti si riconoscono». Insomma lo sport può insegnare alla politica il «richiamo alla pratica delle regole condivise. Poi si può scendere in campo per affrontarsi lealmente, per scontrarsi aspramente, ma alla fine per stringersi la mano, perché tutti insieme si lavori al bene della comunità intera». Parole, quelle del sottosegretario, tutt'altro che isolate. E mentre Massimo D'Alema si rivolge direttamente al premier («Non si capisce quali riforme costituzionali voglia fare Berlusconi. Si capisce che minaccia di far da solo, ma non si sa che cosa voglia fare da solo»), il ministro per l'Attuazione del programma Gianfranco Rotondi tende la mano: «Sulle riforme, anche su quella della giustizia, va tentata una mediazione possibile. Lo sforzo deve essere comune evitando strappi tra maggioranza e opposizione». Intanto cade nel vuoto la proposta lanciata dal ministro della Difesa Ignazio La Russa di ripartire dalla Bicamerale. Sia Pier Luigi Bersani che Dario Franceschini respingono la proposta.

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