L'Iran minaccia Usa e Israele ma a Vienna tratta sul nucleare
A gelare il clima già piuttosto rigido della capitale austriaca, nel giorno del nuovo round di negoziati sul nucleare iraniano, sono arrivate, ieri, altre tensioni, regalo dell'attentato che, domenica, ha causato la morte di 42 persone, tra cui quattro ufficiali dei Pasdaran, nella zona sud-orientale dell'Iran. Le accuse da parte del presidente Ahmadinejad ai servizi segreti israeliani e statunitensi per l'attacco kamikaze nel Sistan-Balucistan, insieme alle minacce del capo dei Guardiani della Rivoluzione, Ali Jafari, alla volta di Stati Uniti, Gran Bretagna e Pakistan e al «niet» preventivo ai colloqui diretti con la Francia, hanno fatto ingresso prepotentemente nella riunione a porte chiuse di Vienna. Un fardello piuttosto pesante, poggiato sul tavolo delle trattative, che Mohamed El Baradei, capo dell'Aiea, ha mostrato di non sentire, dicendosi soddisfatto per un avvio di colloqui definito «costruttivo». Ad essere stati affrontati, a detta del diplomatico egiziano, sono per il momento tutti gli «aspetti tecnici»; i nodi più intricati da sciogliere arriveranno probabilmente oggi. La riunione mira a definire i punti già tracciati all'inizio di questo mese, a Ginevra, che Teheran non ha mai accolto ufficialmente, e cioè la consegna da parte dell'Iran del suo uranio arricchito a un basso livello (sotto il 5%) a un Paese terzo, che ne completi l'arricchimento, e l'invio dell'80%, dei 1.500 kg di uranio già arricchiti autonomamente, in Russia e poi in Francia per tarare l'arricchimento su una percentuale (20%) utile ai soli scopi civili. A scanso di equivoci, comunque, prima dell'inizio dei lavori, il portavoce dell'Agenzia atomica iraniana, Ali Shirzadian, aveva fatto sapere che l'Iran nel frattempo «continuerà l'arricchimento di uranio fino al 5%», e che «se i negoziati non sortiranno risultati cominceremo le nostre attività per produrre uranio arricchito al 20%». Quasi in contemporanea la televisione statale in lingua inglese, PressTv, aveva annunciato la decisione delle autorità iraniane di cancellare la Francia dalla lista dei suoi possibili fornitori di uranio arricchito per far funzionare un reattore a scopi medici, lamentando che in passato Parigi non avrebbe rispettato accordi in materia. I presupposti non sembrano, dunque, dei migliori. Gli indizi di un nuovo «nulla di fatto» non arrivano, però, soltanto dalla presenza a Vienna dell'ambasciatore presso le Nazioni Unite, Ali Asghar Soltanieh, al posto del capo negoziatore Said Jalili o del capo dell'Agenzia atomica iraniana, Ali Shirzadian, ma dai sospetti che circolano a Teheran nei confronti di quelle stesse persone che siedono, ora, al tavolo negoziale. Il capo dei Pasdaran ha parlato infatti di «nuovi documenti» che proverebbero i collegamenti dei servizi segreti di Stati Uniti, Gran Bretagna e Pakistan con il gruppo separatista sunnita, Jundullah, responsabile di numerosi attentati nel Balucistan, mentre Mahmoud Ahmadinejad, nel corso di un colloquio telefonico con il presidente pachistano, Ali al Zardari, ha ribadito che la «presenza di elementi terroristi in Pakistan è ingiustificabile». Il governo iraniano è certo che i militanti abbiano le loro basi operative oltre il confine pachistano, per questo il ministro dell'Interno, Mostafa Mohammad Najjar, ha esortato il suo omologo pakistano, Rehman Malik, a «non esitare a compiere arresti». Il generale Jafari ha aggiunto, poi, che presto una delegazione iraniana si recherà ad Islamabad per reclamare l'estradizione del capo dei «Soldati di Dio», Abdolmalek Rigi, di cui si chiede la testa. Una punizione eclatante è quella che ha assicurato anche il leader supremo Ali Khamenei, tornato a parlare, dopo le voci sulla sua morte diffuse in rete, per annunciare che «la potente mano del governo islamico punirà coloro che hanno attentato alla sicurezza del popolo». L'ayatollah ha puntato il dito contro «l'intelligence di alcuni governi arroganti», con cui in Iran si è solito indicare le potenze occidentali ostili.