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Non serve cambiare la Carta

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Due sono i responsabili del fatto che la semplice legge per attuare finalmente dopo 60 anni la separazione delle carriere dei pm e dei giudici, sia divenuta il solito tormentone. Il primo è la squadra dei costituzionalisti schierati, il cui conservatorismo, mirato a preservare a tutti i costi l'interpretazione della Costituzione sulla quale si fonda la presunta superiorità della sinistra che ci sta portando nel terzo mondo, si concretizza inventando limiti costituzionali contro ogni modifica, anche minima, proposta dal centrodestra. Il secondo è Berlusconi stesso che drammatizza la riforma con il risultato di indurre l'intero corpo giudiziario ad arroccarsi contro un progetto che potrebbe trovare il favore dei tanti magistrati che credono alla totale separatezza del giudicante. Perché mai sta proclamando di voler modificare la Costituzione per riformare la giustizia, cadendo nella trappola tesa dai miei esimi colleghi costituzionalisti? Evidentemente, i suoi due avvocati penali, che - dimenticando di non essere dei costituzionalisti - hanno spianato la strada all'annullamento del Lodo Alfano con le loro originali difese davanti alla Consulta, continuano a colpire. Non solo perché, allo stato attuale, la pur dovuta riforma può sembrare una rappresaglia, ma perché è chiaro che il Premier non è stato messo a conoscenza del dettato costituzionale. Nessuno gli ha ancora detto che la Carta ha imposto e impone sin dal 1948 la totale separazione tra giudici e p.m. e che l'art. 101 della Costituzione sancisce che solo i giudici -e non tutti i magistrati e, quindi, non anche i p.m.- sono sottoposti «soltanto alla legge».   E neppure gli è stato fatto sapere che l'art. 107 Cost. sancisce che il regime di indipendenza dei p.m. non è quello previsto in Costituzione per i giudici bensì quello che sarà dettato dalla legge ordinaria. Infine, nessuno gli ha ricordato che l'art. 111 Cost. sul giusto processo pone il pm in posizione di parità con la difesa e al di sotto del giudice. È quindi assurdo pensare di modificare la Costituzione per fare ciò che essa ha già stabilito debba essere fatto con legge ordinaria! Anche se ciò non toglie che questa debba garantire ai pm la più ampia indipendenza, prevedendo per essi o un altro consiglio superiore o qualcosa di equivalente. Occorre, tuttavia, non cadere in eccessi di garantismo, dato che i sessanta anni trascorsi hanno dimostrato che la totale separatezza dei magistrati fa ricadere sulla giustizia la loro politicizzazione o contrapposizione in schieramenti. Tanto più che non può non avere rilievo il fatto che l'attività dell'accusa è di puramente amministrativa e consente, come ogni attività della P.A., spazi di discrezionalità nonostante l'obbligatorietà dell'azione penale.   È pacifico infatti che il pm è libero di stabilire in base al proprio convincimento se procedere o meno e che l'aumento dei reati fa sì che l'obbligo di procedere si risolva nella sola apertura del fascicolo, potendo poi il magistrato scegliere liberamente a quali iniziative dare priorità. Ed è su tali spazi di scelta che un qualche potere di indirizzo deve essere previsto per impedire che prevalgano le pulsioni di schieramento o le personali visioni politiche. È indifferente che ciò venga garantito da un consiglio composto in proporzioni diverse da quello del Csm oppure da qualche organismo parlamentare ma merita di essere respinta la ventilata assimilazione con l'avvocatura dello Stato che ha minori esigenze di indipendenza.  

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