L'attentato in Balucistan mette a rischio il negoziato
La strage di pasdaran avrà immediate ripercussioni sul negoziato per il nucleare. Stamattina a Vienna si siederanno di nuovo attorno ad un tavolo le autorità di Teheran e le principali potenze mondiali, il cosiddetto gruppo dei 5+1: Usa, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, più la Germania, per tentare di dare seguito al positivo incontro dello scorso primo ottobre a Ginevra. In quell'occasione, grazie soprattuto alla mano tesa di Obama, si riuscì a rivviare il dialogo dopo oltre un anno di stallo. ma proprio la bomba esplosa nella provincia del Sistan-Balucistan mette a rischio gli spiragli intravisti a Ginevra. Teheran ha subito puntato il dito contro gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Il presidente Ahmadinejad che appena venti giorni fa aveva parlato di «proficua cooperazione», definendo l'incontro di Vienna un importante «banco di prova», ieri ha parlato di «agenti stranieri» che complottano contro l'Iran. E il presidente del parlamento iraniano Ali Larijani ha affermato senza giri di parole che l'attacco «è il risultato delle azioni degli americani». «Riteniamo che gli ultimi attentati terroristici derivino dall'azione degli Stati Uniti e dimostrino l'animosità degli Stati Uniti nei riguardi del nostro Paese», ha aggiunto Larijani. Non solo. Il gruppo sunnita Jandullah che ha rivendicato l'attentato è stato in passato più volte associato a collegamenti con agenti della Cia. Rivelazioni apparse anche su i giornali inglesi. Il «Movimento della resistenza popolare in Iran», più semplicemente «Jundallah» si è costituito nel 2003 sotto la guida di un ex capo talebano, Nek Mohammed Wazir poi ucciso. Di fede sunnita, si battono contro gli sciiti e, ovviamente, contro il regime iraniano. Per il regime di Teheran sono solo il braccio armato dei «nemici esterni» che vogliono indebolire la rivoluzione. Tutta questa situazione alla quale non è estranea anche la crisi dell'Af-Pak può far segnare un passo indietro al negoziato sul nucleare e rimettere in moto i timori di un possibile attacco di Israele contro le centrali atomiche iraniane. A Vienna oggi si dovrebbe ripartire da quanto sottoscritto a Ginevra lo scorso 1° ottobre. Due i principali punti su cui Teheran aveva aperto nei colloqui svizzeri avvicinandosi un pò di più alle richieste avanzate dall'Onu: piena disponibilità a «cooperare pienamente ed immediatamente» con l'Aiea l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, aprendo le porte del nuovo impianto nucleare scoperto nella regione di Qom, nel nord del Paese; la possibilità di un accordo per consentire a Teheran di arricchire in un Paese terzo, favorita la Russia, l'uranio necessario per alimentare un reattore di ricerca a fini medici. Si tratta di impegni accolti con favore dagli Usa e dai Paesi Ue, che però restano più diffidenti sulle intenzioni dell'Iran, continuando ad agitare lo spettro delle sanzioni se il negoziato dovesse fallire o andare troppo per le lunghe. «Non siamo ancora allo stadio delle sanzioni», ha detto giorni fa il segretario di Stato americano Hillary Clinton, sottolineando però come sarà necessario passare dalle parole ai fatti se l'azione della diplomazia non darà i risultati sperati. Posizione appoggiata da Israele che ha più volte chiesto di «porre dei limiti di tempo» proprio all'azione diplomatica. Ma di sanzioni verso l'Iran non vuol sentir parlare Mosca, definendo la cosa «prematura e controproducente»: «Non c'è motivo di intimidire Teheran. Bisogna cercare un compromesso. E se i negoziati falliranno, allora vedremo», ha ribadito di recente il primo ministro russo, Vladimir Putin. E oggi i negoziatori iraniani potrebbero approffittare per accusare gli Stati Uniti per la strage dei pasdaran e così tornare allo status quo ante. E ricominciare il tira e molla sull'arricchiemnto dell'uranio.