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Kamikaze fa strage di pasdaran E Teheran accusa Washington

Il generale Nourali Shushtari rimasto ucciso nell'attentato

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È di nuovo alta la tensione nella Repubblica islamica dell'Iran con risvolti critici nello scenario internazionale. A riaccendere la miccia, questa volta, è stato un violento attentato terroristico nel Sistan-Beluchistan, al confine con Pakistan e Afghanistan, nel corso del quale sono state uccise almeno 31 persone tra cui sette membri della Guardia Rivoluzionaria. Ieri, la terra di una delle più povere tra le trenta province iraniane è stata scossa da una forte esplosione nella zona di Pishin, nella città di Sarbaz, dove un kamikaze si è fatto saltare al passaggio di un convoglio di Pasdaran e notabili di gruppi etnici locali, diretti ad una riunione volta alla riconciliazione interna. La zona in cui è avvenuto l'attacco è, infatti, percorsa da tensioni religiose e tribali molto forti, in virtù della sua posizione di confine e della presenza di una minoranza sunnita rappresentata dai Baluci. Il gruppo separatista che ha rivendicato l'attacco si chiama Jundullah, che vuol dire "soldati di Dio", ed ha siglato negli ultimi anni una serie di attentati e di rapimenti. Quello di ieri, però, è l'episodio più grave. Tra le vittime figurano esponenti di spicco del corpo d'elite iraniano, tra cui il generale Nurali Shushtari, capo del battaglione Al Qods (forze di terra) e il comandante delle Guardie della provincia del Sistan-Baluchestan, il generale Mohammadzadeh, assieme a numerosi altri elementi del gruppo. Da parte del governo iraniano quanto accaduto è stato subito inserito nel quadro di un complotto internazionale per destabilizzare il Paese dal suo interno. Per il presidente Mahmoud Ahmadinejad si sarebbe trattato, infatti, di «un crimine perpetrato da agenti degli stranieri», «nemici» che, in un comunicato reso noto dai Pasdaran, avrebbero nazionalità britannica. Il leader del Majlis Ali Lariani, invece, ha puntato il dito contro gli Stati Uniti. Nel corso di un discorso pronunciati in parlamento, prima di partire per Ginevra, l'ex negoziatore per il nucleare ha confermato la morte dei militari iraniani, sottolineando come «in passato alcune informative di intelligence hanno già segnalato il coinvolgimento degli Usa nell'attività di alcuni gruppi terroristici». Rivolgendosi a Barack Obama, Larijani ha parlato, poi, di longa manus di Washington sull'Iran, ribadendo che «se gli Stati Uniti vogliono relazioni con noi, devono essere sinceri», senza contraddire le loro dichiarazioni di intenti. «Il popolo iraniano- ha aggiunto - ha ragione di non credere ai cambiamenti promessi dal governo americano, che è contro i loro interessi». Da parte sua la Casa Bianca ha condannato «l'atto di terrorismo e la perdita di vite innocenti», restituendo le accuse al mittente e definendole «completamente false». Uguale l'atteggiamento del Foreign Office. Ma se le denunce delle autorità di Teheran nei confronti delle forze straniere fanno parte di una retorica ben nota, il discorso è diverso per quel che riguarda le relazioni con il Pakistan, Paese che fa parte dell'area di influenza statunitense, nonostante negli ultimi due anni i rapporti fra Islamabad e Washington appaiano meno lineari. In seguito all'attentato di ieri, il ministero degli Esteri iraniano Mottaki ha convocato l'ambasciatore pachistano in Iran, sostenendo di avere le prove che gli autori dell'attacco siano entrati nel Paese attraverso la frontiera col Pakistan. Da parte del diplomatico sono giunte rassicurazioni sul fatto che verranno messe in atto tutte le misure necessarie per rendere sicuri i confini, mentre precedentemente il presidente Ahmadinejad aveva assicurato che «la sicurezza permanente verrà conseguita con la fiducia tra il popolo e il governo». Dichiarazioni che vanno lette alle luce delle problematiche interne relative alla sua legittimità a livello popolare, non ancora risolte.

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