La sospetta fretta di D'Alema
Lo ha teorizzato lo stesso D’Alema: le riforme deve farle chi ha la maggioranza assoluta dei voti, non degli eletti. Siccome nessuno l’ha mai avuta, nell’intero corso della seconda Repubblica, beccatevi questa minestra o buttatevi dalla finestra. C’è qualche cosa di perverso, in questo modo di ragionare. Innanzi tutto perché il compito di una sinistra di governo, nelle democrazie occidentali, è, solitamente, quello di fare le riforme, mentre uno dei suoi leader ha appena finito di teorizzare l’immobilismo. Poi perché si suppone che un’eventuale maggioranza assoluta dei voti comporti diritti superiori ad avere la maggioranza assoluta degli eletti, il che non solo non è previsto da nessuna costituzione, ma è terribilmente pericoloso. Si ripassi la storia. S’è impiccato al chiodo dei principi generali, ma D’Alema voleva dire una cosa più concreta e terra terra; le riforme si devono fare, ma solo con il convergente consenso di maggioranza ed opposizione. È ancora fermo al compromesso storico, gli sono sfuggiti alcuni decenni. Eppure, accidenti, almeno la sua stessa esperienza potrebbe ricordarla. Fu presidente della commissione bicamerale per le riforme costituzionali, e rammenterà che non si giunse mai al capitolo giustizia, non si aprì mai la discussione sulla, interessante, "bozza Boato", perché se lo si fosse fatto si sarebbe spaccata la sinistra. La commissione saltò prima, sicché lui si risparmiò di prendere atto che sulla giustizia non esisteva una possibile riforma condivisa. Dopo di che, però, la Costituzione fu cambiata, nel 2001, dalla sua parte politica, con un voto a maggioranza, presa per un soffio. Non ricordo di sue dichiarazioni, all’epoca, circa gli aspetti climatici o i principi generali. Detto questo, ed accertata l’incoerenza di chi passa per essere fra i più intelligenti (e lo è, davvero, il che depone male sugli altri), non c’è dubbio che le riforme costituzionali meritano una discussione ampia, coinvolgente la minoranza parlamentare. Il contrario di quel che fece la sinistra, insomma, ed il contrario di quel che poi fece la destra, insomma. Ma se la medesima condotta è stata adottata da entrambe gli schieramenti, escluso che qualcuno possa dare lezioni agli altri è evidente che la ragione non sta nelle intenzioni. Difatti, sebbene sarebbe opportuna una volontà costituente, quindi uno spazio temporale in cui possano deporsi le armi della polemica continua, per porre mente alla riscrittura delle regole, è, purtroppo, evidente che ciò non sarà mai possibile se i due schieramenti si considerano gli avversari in una guerra continua, piuttosto che i componenti il medesimo Parlamento. Finché la sinistra avrà nell’antiberlusconismo il suo unico collante, di questa roba non se ne parla. E allora, ce ne stiamo fermi ad aspettare? Sarebbe suicida. Sarebbe un modo per cancellare la democrazia, trasformandola in stagnocrazia rissosa. La nostra Costituzione, che molti dicono di volere difendere e quasi nessuno legge, stabilisce le regole delle riforme costituzionali, all’articolo 138. Se ne seguano i dettami, se ne rispetti lo spirito e si proceda. I guai arrivano sempre dopo, quando si tratta di stabilire in che direzione.