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Ma l'asse Fini-Lega insiste sul dialogo

Gianfranco Fini

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Berlusconi spinge, sbuffa, attacca a testa bassa. E loro mediano, cercano il dialogo, riaprono all'opposizione. Il nuovo asse del centrodestra è quello tra Gianfranco Fini e Umberto Bossi, tra gli ex di An e i leghisti, impegnati a ricercare una strada per le riforme meno solitaria di quella immaginata dal premier. Sono lontani i tempi in cui il leader della Lega commentava sprezzante che con Fini non avrebbe neppure preso un caffè. Ora i due si ritrovano su molti temi ma soprattutto si incontrano sul terreno della mediazione con il Pd quando si parla di modifica della Costituzione. Ne hanno discusso quando si sono incontrati, a pranzo, il giorno della decisione della Consulta sul Lodo Alfano, il 6 ottobre. E da allora le loro dichiarazioni, i loro inviti a fare riforme «condivise», da quella sul federalismo a quella, delicatissima, sulla giustizia, sono andati a braccetto. Come ieri, quando il presidente della Camera è intervenuto subito dopo le frasi di Berlusconi, esasperato da un'opposizione che gli riversa addosso ogni giorno nuove accuse. Non c'è, come in passato, un contrasto con il premier. Piuttosto un invito a mantenere la calma e ad evitare un clima da guerra civile. «È possibile modificare la Costituzione con una maggioranza semplice, e in questo caso c'è la possibilità di ricorso al referendum, o con una maggioranza qualificata, in quest'ultimo caso non c'è il ricorso al referendum — ha spiegato Fini parlando a Pisa — È logica conseguenza che sia auspicabile che le riforme avvengano con una maggioranza più larga di quella di governo, poiché riguardano le istituzioni che sono la casa di tutti». «Nei prossimi mesi — ha concluso — vedremo se gli auspici di riforme condivise si realizzeranno o se anche questa legislatura si concluderà all'insegna del nulla di fatto». Il presidente della Camera, in questo momento, ha l'interesse a farsi vedere come il «garante», all'interno del centrodestra, di un rispetto istituzionale. La Lega, invece, ha la necessità di arrivare a un via libera approvato insieme al centrosinistra. Perché sa che sul federalismo il ricorso al referendum popolare si trasformerebbe di nuovo, con tutta probabilità, in una bocciatura. Così come è già accaduto nel 2006. Bossi e i leghisti sono quindi attentissimi a non tagliare completamente quel fragilissimo filo di contatto con il Pd. E ieri Roberto Calderoli lo ha fatto capire chiaramente. Innanzitutto riconoscendo, per la prima volta, a Gianfranco Fini un ruolo alla pari del Cavaliere e del Senatùr: «A decidere sulla materia delle regionali saranno i tre leader della coalizione: Berlusconi, Bossi e Fini». Poi spiegando quanto importante sia arrivare a una riforma «condivisa», almeno sul federalismo. «Personalmente, tenuto conto dell'articolo 138 della Costituzione, proporrei di fare due riforme separate ma con un cammino parallelo. La prima ritengo che possa essere largamente condivisa ed avere la possibilità di ottenere un consenso superiore ai due terzi, in quanto riguarderebbe la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, l'introduzione del Senato federale e il riequilibrio dei poteri tra l'esecutivo ed il legislativo. La seconda, invece, sarebbe inerente alla giustizia. Anche su quest'ultima riforma, chiaramente, dovrà essere cercata la più ampia maggioranza possibile, ma se dovessero prevalere le posizioni ideologiche o preconcette, allora sarà necessario realizzarla comunque, ben sapendo che poi l'ultima parola a riguardo spetterà al popolo italiano, attraverso lo strumento del referendum».

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