"La tv pubblica rispetti il pluralismo"

«A conclusione di una settimana incredibilmente densa che mi ha visto impegnato in più occasioni di intervento pubblico, non mi soffermo, anche per senso della misura, su temi generali di carattere politico-istituzionale». Giorgio Napolitano conclude così il suo intervento al Quirinale nell'ambito delle celebrazioni per la Giornata dell'Informazione. Parole che suonano come un invito a non continuare con gli attacchi personali al Colle che lo hanno costretto a difendersi pubblicamente. Ma che nulla tolgono al messaggio che il Capo dello Stato invia a televisioni e giornali. Napolitano cita, tra i premiati, i nomi di Giulio Andreotti e di Pietro Ingrao, eleggendoli a emblema della «diversità delle voci che debbono poter trovare spazio in democrazia, nel grande mondo di una stampa libera, come lo hanno in effetti trovato nel nostro Paese nel corso dei decenni». «È un esempio - aggiunge - da cui trae forza l'invito a rispettare nella carta stampata e nella radiotelevisione, specie pubblica, l'insostituibile valore del pluralismo». Il Capo dello Stato non si nasconde che «i giornalisti vivono oggi tempi difficili in Italia e nel mondo occidentale per effetto di accelerate trasformazioni tecnologiche, di ricadute della crisi finanziaria economica globale e di processi più a lungo termine di ristrutturazione del potere economico». E spiega che «la libertà di espressione e anche il buon uso di questa libertà da parte dei giornalisti costituiscono questioni che richiedono analisi e verifiche attente anche in sede europea e non in riferimento a un solo Paese». Ciò nonostante si dice convinto che «è nella qualità dell'impegno e del lavoro di ogni giornalista, nella professionalità, nel rigore, nell'equilibrio, nel tranquillo coraggio di chi si dedica a questo impegno, a questo quotidiano lavoro, è qui il maggior presidio della libertà e del ruolo della stampa e dell'informazione». Quindi rimanda a quanto detto «già più di tre anni fa, in occasioni analoghe a quella odierna» quando sottolineò il «carattere discriminante che l'esistenza di una stampa e di una informazione pluralistiche e libere assume per distinguere la democrazia dal dispotismo». E aggiunge: «Mi espressi in quei termini, e poi ci sono ritornato più volte, indipendentemente dal mutare, nel frattempo, del contesto politico in Italia e postulando la definizione di equilibri più soddisfacenti, con uno sguardo attento, in particolare, alla tutela della privacy, della dignità delle persone, della dignità delle Istituzioni, della riservatezza delle indagini giudiziarie, insieme - ovviamente e in primo luogo - con la tutela della libertà di informazione. Equilibri difficili, certo, e sempre oggetto di controversie, ma a cui non si può sostituire da parte del giornalismo la sottovalutazione di limiti e di responsabilità da riconoscere e da proiettare nel proprio modo di lavorare». Infine auspica che «si vada verso un tempo di riflessione più obbiettiva ed aperta su questi temi, e che si possa ritornare su di essi nei nostri futuri incontri, salutando un effettivo progredire del confronto costruttivo tra tutte le parti interessate».