Berlusconi-Fini, il patto c'è
Già lo chiamano il patto. Il grande patto. E stavolta non c’è crostata (come fu per quello Berlusconi-D’Alema per la Bicamerale), non ci sono vini (come per lo sciacchetrà per l’intesa Berlusconi-Fazio) visto che questa volta i due non hanno consumato nulla se non le loro parole. E i due sono Gianfranco Fini e, naturalmente, il Cavaliere. Si incontrano nell’ufficio del presidente della Camera, al piano nobile di Montecitorio. Alla fine il premier scappa via con la sua solita mantella e scortato da un Gianni Letta insolitamente sorridente e dal suo capo della segretaria Sestino Giacomoni, anche lui sorridente ma in maniera beffarda. Sornione dopo poco arriva una dei collaboratori più stretti di Fini che, con la cravatta leggermente allentata, s'infila nell'ascensore e sospira: «A leggere i giornali se uno dei due apre bocca sembra che butti benzina sul fuoco. Quando si vedono, invece, è difficile trovare una divergenza». Dunque, a incontro concluso, il grande patto prevede che la riforma della giustizia si farà. E si farà in tempi brevi. E sarà riforma complessiva. I pm non saranno sottomessi al potere dell'esecutivo. Ipotesi vagamente lanciata da Berlusconi in un comizio a Benevento domenica e stoppata da Fini due giorni fa da Francoforte. Il punto di mediazione prevede che sia «il Parlamento, sentita la Procura generale, a fissare i criteri per l'individuazione delle priorità», così come il presidente della Camera aveva scritto nei suoi sei punti per la giustizia dettati all'inizio dell'anno. Altro nodo sciolto appare quello che riguarda le carriere dei magistrati. La riforma che sta per scrivere il Pdl prevede corsi differenti e separati. Fini ha chiesto, e su questo ha ottenuto piena disponibilità da Berlusconi, che l'intera riforma sia iniziativa del Parlamento e non del governo. E ha anche chiesto che almeno si faccia un tentativo con l'opposizione. Un tentativo non solo formale per vedere la reale disponibilità del centrosinistra a discutere e cercare di stanare l'Udc aprendo un solco tra Casini e il Pd. Ci sono poi «questioni tecniche» sulle quali le fonti ufficiali si chiudono a riccio e rimandano agli esperti presenti all'incontro. Che sono i rispettivi avvocati di Berlusconi e Fini, ovvero Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno. I quali, tra l'altro, sono entrambi deputati (la seconda è anche presidente della commissione Giustizia della Camera). I due legali-parlamentari comunque sono ancora più ermetici. Tuttavia non è impossibile immaginare che la riforma che sta per giungere in Parlamento conterrà anche un taglio ai tempi per la prescrizione, margini più ampi per ricusare i giudici e il divieto di utilizzare sentenze passate in giudicato. Un piccolo aggiustamento che dovrebbe mettere al riparo da eventuali agguati nel processo Mills che sta per ripartire dopo lo stop al lodo Alfano e dovrebbe anche consentire più manovra alla difesa nell'altro processo che è ancora in piedi contro Berlusconi, quello sui diritti televisivi. Nella partita, poi, ci sono anche le Regionali. Berlusconi e Fini ne hanno parlato a telefono l'altra sera e hanno deciso di lasciare alla Lega il Veneto. E Bossi si mostra più che contento al punto che in serata assicura che i pm non prenderanno ordini dal governo, confermando così uno dei punti fondamentali dell'incontro. E lasciandosi anche scappare un «le riforme le facciamo sempre condivise», sposando così la linea di Fini di apertura all'opposizione. Il Senatùr è ancora piuttosto scottato dall'esperienza del 2006, con il lungo e tribolato iter che dovette affrontare la devolution: dopo aver superato la dura opposizione della sinistra venne poi affossata nelle urne dal referendum confermativo. Oggi il clima è diverso. Si va avanti con le riforme di Berlusconi, ma con il metodo Fini.