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Democratici solo a parole

Pierluigi Bersani e Dario Franceschini

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Forse aveva ragione Winston Churchill quando, con ironia, spiegava al mondo che «la democrazia funziona quando a decidere sono in due e uno è malato». Purtroppo per il Partito Democratico martedì pomeriggio, quando l'Aula della Camera è stata chiamata a votare la pregiudiziale di costituzionalità sulla legge contro l'omofobia, 285 tra deputati di maggioranza e opposizione non erano malati.   Non solo, ma fra questi, c'era anche una «sanissima» Paola Binetti. Che, come si conviene ad un partito veramente democratico, è stata prontamente messa sul banco degli imputati e processata sulla pubblica piazza. E pensare che per evitare tutta questa inutile polemica bastava che il Pd votasse a favore del rinvio in commissione del testo. In fondo Binetti, con il suo no alla legge, è rimasta coerente a quello che ha sempre pensato. Già nel dicembre del 2007, l'allora senatrice teodem, rischiò di far cadere il governo Prodi, il «suo» governo, perché contraria a una norma sull'omofobia contenuta nel decreto sicurezza (la fiducia passò con 160 sì grazie al senatore a vita Francesco Cossiga).   Anche in quell'occasione finì sotto processo, ma non vennero presi provvedimenti. Anzi, qualche mese dopo, quando Binetti accostò omosessualità e pedofilia, il segretario Walter Veltroni non ebbe dubbi: «Le posizioni del Pd su temi di grande importanza come l'omofobia sono chiarissime. Singole voci che assumono posizioni diverse da queste esprimono un parere personale che, nel caso dell'onorevole Binetti, è sbagliato. Ma credo che in un grande partito come il nostro non possano esistere "reati d'opinione" o processi per idee che vengono espresse». Peccato che, da due giorni, Binetti sia sulla graticola. La stessa dove, prima di lei, era finita anche un'altra parlamentare cattolica, la senatrice Dorina Bianchi rea di aver detto sì ad un'indagine conoscitiva sulla Ru486. Il Pd fa così. Non la pensi come la maggioranza? O ti adegui o sei fuori. Così non stupisce che Franceschini, pur spiegando di non aver potere per decidere certe cose, inviti la deputata «a riflettere sulla sua permanenza nel Pd». «È inammissibile - spiega il segretario uscente - che sui temi come la lotta alla discriminazione si possa votare con la destra». Pronta la risposta «dell'accusata»: «Siamo alla vigilia delle primarie nella quali il partito si rivolgerà a tutti i suoi elettori. Che messaggio vogliamo dare? Innanzitutto quello di un partito fortemente impegnato nella difesa di tutte le minoranze; ma il secondo messaggio dovrebbe essere quello di un grande partito che difende la libertà di pensiero al proprio interno».   In ogni caso Binetti dichiara ufficialmente che non sosterrà più Franceschini e che il 25 ottobre voterà Pier Luigi Bersani il cui atteggiamento «è più inclusivo». Poi, nel caso, deciderà se lasciare o meno il Pd. Nel frattempo il partito si spacca. Con i bersaniani che colgono la palla al balzo per sottolineare la divisione interna alla mozione Franceschini dove alcuni cattolici (tra gli altri Beppe Fioroni), assieme ai rutelliani, si schierano al fianco della deputata teodem che, nel frattempo, raccoglie ovvie dichiarazioni di solidarietà da Udc e Pdl. È la democrazia bellezza.  

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