Cambia la legge sulla "par condicio"
Ecco la prova della politica attuale del Cavaliere. Portare a termine tutte le riforme prefissate senza esitazioni. Anche quando sul tavolo c’è una questione controversa e spinosa come la «par condicio». Sono anni che ha in testa di modificare questa legge, mettendo in campo diversi tentativi e vagliando svariate proposte. Ora Berlusconi torna alla carica. La disciplina che regola la par condicio ha una storia decennale, racchiusa tutta nella legge 28 del 2000, e che ha superato il vaglio da parte della Corte Costituzionale nel 2002. Il premier pensa da tempo che sia giunto il momento di mettere mano ad una legge ormai inutile e sicuramente sbagliata. Ecco perché torna ancora alla carica, stavolta con l'intento principale di modificarla prima delle regionali. Questo sarebbe il desiderio del Cavaliere, condiviso con i suoi la settimana scorsa durante l'ufficio di presidenza del Pdl a Palazzo Grazioli. Lo aveva fatto anche qualche settimana fa, durante il Consiglio dei ministri, dando mandato al viceministro della Comunicazione Paolo Romani di lavorarci sopra, «perché a questo punto è una modifica da portare a termine il prima possibile». Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato, conferma che è «in atto» la riflessione su un testo che si ispiri al principio del «proporzionalismo» tra le apparizioni tivù e la forza di un partito, fatta salva la concessione comunque di un «diritto di tribuna» alle forze nuove che si presentano alle elezioni. In effetti una proposta di legge con questi criteri esiste ed è totalmente in linea con il documento a cui si sta lavorando negli uffici di Paolo Romani. Si tratta di un testo che sarà presentato in questi giorni in Parlamento e che porta la firma del responsabile nazionale del settore elettorale del Pdl Ignazio Abrignani. La proposta in questione ha l'obiettivo da una parte di ampliare gli spazi di comunicazione autogestiti a pagamento, fatta salva però la possibilità per tutti i soggetti di poter usufruire di messaggi a pagamento. Dall'altra a meglio allocare questi spazi sulla base della proporzionalità della rappresentanza parlamentare, con un diritto di tribuna pari al 10% degli spazi disponibili. Inoltre, prevede il venir meno del divieto di presenza di candidati ed esponenti politici (previsto dalla legge 515 del '93) nei programmi di diverso genere, quindi non politici. Che la norma sulla par condicio abbia bisogno di una sorta di tagliando, non lo dice solo Berlusconi (come accusa l'opposizione). Lo stesso Calabrò, presidente dell'Agcom (l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), nella relazione annuale di luglio scorso, ha sottolineato l'esigenza di una riforma della legge, «che garantisca pluralismo ed equilibrio dell'informazione». Soprattutto, come spiegano dal ministero della Comunicazione, tenuto conto che le evoluzioni sia del contesto normativo, con l'introduzione di legge 21 dicembre 2005 n.270, che tecnologico con il rafforzamento delle nuove piattaforme trasmissive digitali a scapito quindi dell'analogico e l'emrgere di nuove forme di televisione, rendono sicuramente possibili alcune modifiche. Quali? Innanzitutto l'applicazione della ripartizione proporzionale. In sostanza, si propone di far valere il criterio della rappresentanza parlamentare, quello cioè che «rispecchia la composizione dell'elettorato, l'unico e vero depositario della sovranità popolare». L'attuale sistema si basa invece sulla parità di condizioni di accesso ai mezzi di comunicazione, indipendentemente da un qualche vaglio. Motivo per cui Berlusconi ha più volte definito ingiusta la norma sulla par condicio, perché parifica una lista grande ad una piccola. Altra novità, il diritto di tribuna, pari al 10% degli spazi, da ripartire secondo il principio delle pari opportunità (e quindi dato a tutti). I messaggi autogestiti in questo ambito sono gratuiti e possono essere trasmessi una sola volta in ciascun contenitore, mentre quelli ripartiti secondo il criterio della proporzionalità sonoi a pagamento. E qui arriva l'altra importante novità. Sì perché attualmente, con le modifiche alla legge fatte nel 2005, solo le emittenti locali possono trasmettere messaggi a pagamento. Ora invece si tenta di ristabilire per i mezzi di comunicazione radiofonica e televisiva quanto previsto nella versione originale della legge 28 del 2000, e cioè la possibilità di trasmettere messaggi autogestiti a pagamento anche sulle emittenti nazionali. Un punto questo ancora da chiarire definitivamente nell'entourage del presidente del Consiglio. La proposta di legge partirà quasi sicuramente dal Senato. Difficile stabilire una tempistica su un tema così delicato, avendo l'arduo compito di riuscire a mettere tutti d'accordo. Soprattutto perché, come spiegano fonti della maggioranza, per averla pronta per le regionali, vuol dire che la legge dovrebbe essere in vigore entro metà febbraio. Tempi strettissimi che, in un momento come questo dove l'attenzione verso i mezzi di informazione è altissima, diventano quasi impraticabili. Senza considerare che magari, oltre all'opposizione già sul piede di guerra (in primis l'Udc), anche all'interno della maggioranza le anime sono diverse. La Lega nicchia nell'attesa di avere un testo vero e proprio su cui potersi esprimere. Insomma non è impresa facile e ancora una volta, si aspetterà, forse, l'ultima parola del Cavaliere.