Franceschini usa la Bindi contro "l'ominicchio" Silvio
È stato l’unico a non leggere un testo scritto. Dario Franceschini è salito sul palco della convenzione nazionale del Partito Democratico, la passerella che doveva ratificare il risultato dopo il voto degli iscritti, con un unico obiettivo: far parlare di sé. Dopotutto, sconfitto nei circoli (ha ottenuto il 36,9% dei voti contro il 55,1% di Pier Luigi Bersani e l'8 di Ignazio Marino), il segretario uscente ha una sola possibilità per ribaltare il risultato: le primarie del 25 ottobre. Così mentre l'avversario si concedeva un discorso politico snocciolando contenuti programmatici e riflessioni sul futuro del Paese, Dario ha messo e scena un vero e proprio comizio. E si sa, in campagna elettorale, tutto è lecito. Anche usare Rosy Bindi, sostenitrice della mozione Bersani e ormai simbolo indiscusso della resistenza del Pd a Berlusconi, per attaccare a testa bassa il Cavaliere. «Dire che è un ominicchio chi offende Rosy Bindi e le donne italiane - si è domandato retoricamente Franceschini - significa essere anti-italiano?» Standing ovation. Il vero democratico fa così. Le donne non le offende, le usa per raccattare voti. A dire il vero l'esponente democratica, assieme a Giorgio Napolitano (altra «vittima» illustre del Cavaliere), è stata la vera protagonista della giornata. Per l'occasione sono state stampate anche delle magliette grigie con la scritta «Non sono una donna a sua disposizione» (la risposta della Bindi al premier che, mercoledì durante Porta a Porta, l'aveva definita «più bella che intelligente»). E viene il dubbio che, senza lo «scivolone» di Berlusconi, il Pd non avrebbe avuto argomenti di conversazione. Anche Bersani, che secondo il suo principale sponsor Massimo D'Alema è stato l'unico ad indicare con «molta forza una prospettiva per questo partito», ha ripetuto cose già sentite. Dalla necessità di difendere la democrazia a rischio a quella di modificare la legge elettorale reintroducendo le preferenze; dall'impegno su occupazione e redditi, a quello per interpretare meglio i temi della scuola e e della sanità. Il tutto senza dimenticare la riproposizione dell'Ulivo, la lotta al razzismo e all'omofobia, la difesa della legalità, la riduzione dei costi della politica, il conflitto d'interessi. E affinché le donne non restino deluse, ecco spuntare la proposta di introdurre «quote massicce e transitorie in politica ed economia». Insomma, quello visto all'hotel Marriott di Roma, è stato il solito, vecchio Pd. Anche perché Franceschini, oltre a sparare a zero contro Berlusconi, non si è lasciato sfuggire l'occasione di attaccare i suoi diretti avversari. Su tutti D'Alema che sabato, intervistato dal Riformista, aveva ipotizzato una rivolta degli iscritti qualora le primarie dovessero ribaltare il risultato dei congressi. «Vorrei dire a D'Alema - ha urlato il segretario uscente dal palco - che i primi a rispettare l'esito delle primarie saranno gli iscritti ed elettori». E qualche ora dopo, scrivendo nella sua pagina su Twitter (la comunità online dove è possibile inserire messaggi della lunghezza massima di 140 caratteri ndr), ha rincarato la dose: «Il passaggio piu applaudito da una platea di iscritti è stato quando ho detto che difenderò sempre le primarie! Loro non hanno paura...» Ma anche sugli applausi a Franceschini la polemica non è mancata. Secondo bersaniani e mariniani (intesi come sostenitori di Marino) c'erano molti esterni chiamati con l'obiettivo di far vedere che il segretario uscente è più popolare di quanto non dica il risultato uscito dai circoli. L'entourage di Dario, però, fa notare che gli inviti erano stati distribuiti in maniera proporzionale ai voti ottenuti e che comunque tutto dipendeva da Maurizio Migliavacca che, come si sa, sostiene Bersani. Ergo Dario ha toccato il cuore della gente, Pier Luigi no. E giusto per non farsi mancare niente, la convenzione di ieri è servita anche per rispolverare un vecchio adagio. In prima fila, seduti uno di fianco all'altro, Massimo D'Alema e Franco Marini hanno a lungo parlottato. L'ex presidente del Senato se l'è cavata con un vago «non ci siamo detti niente perché era pieno di giornalisti, il nemico ascolta». Il lìder Maximo non ha toccato l'argomento. Eppure c'è chi giura che il futuro del Pd dipenda ancora da loro. C'è anche chi è convinto del fatto che, in segreto, Marini tifi per una sconfitta di Franceschini perché questo gli permetterebbe di riprendere in mano le redini della corrente ex Ppi e lavorare per portare ad unità le divisioni di questi mesi. Ovviamente in perfetta sintonia con D'Alema.