Tutti i segreti dei nostri 007
Per la prima volta nella storia d’Italia i Servizi segreti decidono di svelare comunicando la propria immagine e le prestazioni rese al Paese. È un nuovo approccio, più vicino alle esigenze di sicurezza interna ed esterna della nazione. Così, come mai era successo, cinque protagonisti del mondo dell'intelligence italiana si riuniscono per la prima volta di fronte ai taccuini per raccontare la loro strategia. Lo fanno tra le mura di Palazzo Wedekind, sede del nostro quotidiano Il Tempo. Un dibattito, una riflessione, che ruota attorno alla Riforma 2007 sui Servizi, alle missioni svolte e da svolgere, al rapporto tra intelligence e Sistema-Paese, al reclutamento e alla comunicazione. Adriano Soi «È utile partire da uno dei punti di maggiore novità di quella legge, che affida al Dis due compiti: la promozione della cultura della sicurezza e la comunicazione istituzionale. Non è un caso se tra pochi giorni sarà inaugurato un sito internet dei Servizi. Ma se la comunicazione è un terreno arato, la promozione della cultura della sicurezza è un compito più grande. E questa legge, soprattutto, crea un sistema per la sicurezza della Repubblica, che deve essere capace di correlarsi col Sistema-Paese. La nuova intelligence deve coinvolgere le Istituzioni, in primo luogo il Parlamento, e la società per acquisire consapevolezza sui temi di merito di interesse nazionale. L'obiettivo è migliorare la qualità del servizio reso al Paese negli operatori, nelle attività e nei risultati». Giuseppe Caldarola «In merito dobbiamo combattere due culture. La prima è strettamente legata all'intelligence, che noi chiamiamo cultura della separatezza. Il secondo aspetto riguarda la politica e la società civile. Noi ci troviamo a fare un bilancio di decenni in cui ha prevalso la cultura del sospetto nei confronti dello Stato, della sicurezza come luogo delle manovre oscure della politica italiana. Ora, il dato da cui partire è che queste due culture esprimono l'idea di un Paese arretrato e insicuro. Il nostro problema, oggi, è mettere insieme lealtà ed efficacia in un quadro cambiato, in quanto il tema della sicurezza è al tempo stesso più globale e più nazionale. E spesso accade di avere una massa di informazioni che non danno un indirizzo, e c'è bisogno di un lavoro intellettuale che sia in grado di selezionare tali notizie. Il rischio è che la grande quantità di informazione si traduca in poche informazioni. Ci tengo a dire che la sicurezza è, secondo me, il tema nazionale per eccellenza e va collegato a un'idea più dinamica del Paese. Al centro deve esserci la difesa dell'autonomia della nostra nazione, ma anche la tutela dei suoi interessi economici. Naturalmente non immagino l'intelligence come un nuovo luogo della politica spettacolo, ragiono più sul tema della cultura della sicurezza rivolta alle classi dirigenti, passando poi per l'opinione politica. Noi dobbiamo ragionare attorno a uno schema radicato nei Paesi più avanzati: quello di un'integrazione tra il lavoro dell'intelligence e della classe dirigente. Siamo di fronte a una necessità di integrazione. Infine, il grande tema intelligence-politica. Abbiamo da un lato il governo e dall'altro il Parlamento. Negli ultimi anni si sono fatti passi avanti con il Copasir, a cui ho partecipato. L'organo di controllo va reso bipartisan e deve assumere fino in fondo il compito di una visione nazionale dell'attività di controllo». Marco Minniti «Dovremmo essere consapevoli che per quanto riguarda l'intelligence e il concetto di sicurezza è praticamente cambiato tutto, per due ragioni. L'11 settembre del 2001 è uno spartiacque e ci consegna una questione che prima non era chiara: la sicurezza interna e quella esterna non sono più così divise, sono due facce della stessa medaglia. E la sicurezza interna di un Paese, spesso è frutto della capacità di mantenere la sicurezza esterna. L'altro punto di discontinuità è il 1989. Eravamo abituati a fare parte di un'alleanza compatta e non dovevamo avere un'intelligence agguerrita. Con la fine del mondo diviso in due blocchi sono invece nate due questioni. La prima è che noi abbiamo un mondo multipolare, e in un mondo così possiamo avere servizi di intelligence amici che non sono alleati e viceversa. A proposito voglio ricordare il caso Abdullah Ocalan. Ocalan arriva in Italia: abbiamo risposto a un mandato di cattura internazionale e lo abbiamo arrestato. A un certo punto la Corte di Appello di Karlsrhue annulla il mandato, perché se Ocalan fosse rimasto sotto il mandato di cattura internazionale sarebbe stato estradato in Germania. Ma Berlino non lo voleva. Così i tedeschi cancellano il mandato e Ocalan arriva in Italia. Ecco che si rende evidente la differenzazione tra l'atteggiamento di Servizi che dovevano cooperare. Si è vista in maniera plastica la competizione e la differenza di interessi. Bene, passiamo ora alla seconda questione. Nel momento in cui si ha consapevolezza di questo, bisogna superare una sorta di patto non scritto per cui a un certo punto, di fronte a rischi di deviazione, l'Italia si era detta: meglio avere a che fare con servizi inefficenti che deviati. Un patto non scritto che coinvolgeva l'intero sistema politico italiano, che non è mai stato superato totalmente. Come se fosse in luce l'idea che qualsiasi cosa abbia a che fare con la segretezza dell'informazione sia portato di per sé a deviare. Questo avviene perché noi non siamo un Sistema-Paese, che è il principale ritardo che abbiamo. Una democrazia dell'alternanza ha bisogno di un'idea comune repubblicana, quindi in un Sistema-Paese i servizi hanno un ruolo importante. E più il Paese gli ronosce un ruolo, più c'è la contropartita della lealtà. Abbiamo fatto una legge sui Servizi, a testimonianza che il Parlamento può affrontare questioni di delicatezza estrema con una convergenza molto ampia. Dobbiamo abituarci all'idea che possiamo fare riforme di sistema, superando pigrizie e vecchi conservatorismi. E per me con quella dell'intelligence si aprono le porte alle altre riforme nel comparto sicurezza, anche di carattere costituzionale, che il nostro Paese non dovrebbe mettere da parte ma affrontare in questa legislatura. Poi c'è il problema del rapporto con la nostra società. In tutto il mondo l'intelligence ha una relazione molto viva con l'università, sia in termini di scambio culturale che di reclutamento del personale, anche perché oggi gran parte dell'attività è analisi. Dobbiamo poi affrontare il discorso del rapporto tra esecutivo, intelligence e Parlamento. La legge ha tentato di fare uno sforzo e la questione è chiara: l'intelligence dipende dal governo, il Parlamento deve esercitare una funzione di controllo netta e separata. È però fondamentale superare gli ideologismi per fare Sistema e avere un luogo parlamentare di confronto anche severo e aspro ma molto riconoscibile. Questo può farlo il Copasir così come avviene in altri Paesi come gli Stati Uniti. Quando dovemmo decidere sull'Afghanistan non potrò mai scordare che l'allora ministro Martino venne in Parlamento e disse: abbiamo una mole di informazioni che ci indicano di partecipare all'intervento americano, però queste informazioni non ve le posso dare. È un po' singolare che un Paese decida così. Alloro dissi a Martino: consegnale ai presidenti di Camera e Senato, i quali però si affrettarono a riconsegnarle a Martino perché non avevano il potere di gestirle. La sede naturale in questo caso è il Copasir. Allora si direbbe: ma il Copasir dovrebbe garantire l'impermeabilità delle informazioni. Ma non è che se c'è una disfunzione di carattere funzionale uno fa perdere la funzione all'organo. Fu la prova che ancora oggi segna il confronto con il modello Usa. Detto ciò, credo che in questo quadro non solo abbiamo delle potenzialità, ma penso che l'Italia debba rivendicare un ruolo. È chiaro che dovremmo sviluppare una capacità di azione a 360 gradi, ma anche coltivare alcune specificità, come la cooperazione del Mediterraneo, che è uno scacchiere fondamentale. Solo così avremo una forte intelligence, perché nel futuro lo scambio avviene per la qualità e quantità di informazioni». Ernesto Savona «Il servizio di informazione per la sicurezza dello Stato ci deve prefiggere di collocare gli interessi del Paese nella nuova realtà internazionale. E questo è un esercizio molto difficile. La sfida è convincere la pubblica opinione che l'elaborazione delle informazioni e l'utilizzo esteso dell'università è fondamentale. Voglio fare un esempio: oggi è fondamentale capire le intenzioni degli Stati Uniti rispetto al Dollaro. Il futuro di questa moneta è un problema, dobbiamo raccogliere informazioni e capire cosa hanno in mente questi signori, perché se crolla il Dollaro si rivaluta l'Euro e la situazione esce fuori controllo. Dall'altra parte sappiamo che il Dollaro oggi è retto dalla Cina ma non conosciamo le loro intensioni. Qual è il rischio? Che l'Europa venga schiacciata. Un altro esempio di analisi di problemi economici e di collocamento dei nostri interessi è il tema dell'immigrazione. Se noi continuiamo a combatterla sul mare o con gli accordi con la Libia non ne usciamo fuori. Dovremmo impossessarci delle informazioni di chi svolge il servizio di immigrazione illecita. Ciò perché i problemi vanno presi alla radice - come probabilmente fanno già i Servizi - o, come in questo caso, rischi di cadere nel vortice del dibattito etico-sociale con evidenti difficoltà nella risoluzione del problema stesso. Comuque, dal mio punto di vista, gli aspetti economici sono sempre più importanti nel mondo dell'intelligence. E nonostante i passi in avanti siamo ancora molto arretrati nelle conoscienze di cui abbiamo bisogno». Alfredo Mantovano «È già alla terza puntata una fiction, che molti hanno visto, che dà un pesante contributo a non capire cosa sono i Servizi. Perché pur essendo molto avvincente fa coincidere le attività dei Servizi con una attività a metà tra il militare, il poliziesco o il paraterroristico. Ciò si traduce in una consapevolezza deviata sui Servizi da parte del nostro Paese. Detto questo (a far capire che c'è bisogno di un serio lavoro di comunicazione) credo che la chiave del tema sia: sconfitta sul piano culturale del sospetto. Ho l'impressione che sulla vicenda dei Servizi in Italia insista lo stesso alone che insiste sui poteri dell'esecutivo. Come l'esecutivo ha tutta una serie di limitazioni e contrappesi, così una struttura a diretta competenza dell'esecutivo è sempre stata guardata con preoccupazione e circondata da una serie di cautele, al punto che anche quando gli sono stati riconosciuti poteri, in realtà sono state previste tali e tante forme che ne vanificano nella sostanza l'operatività. Questo sospetto ha ancora riflessi pesanti e sono la riproposizione dei problemi di sempre. Quando il Parlamento ha affrontato la riforma dei Servizi, lo ha fatto col freno a mano tirato. Con il collega Emanuele Fiano, del Copasir, abbiamo steso una bozza di riforma e devo dire che sono abbastanza deluso per come è andata a finire. L'intento originario era creare un servizio unitario, ma questo sospetto ha portato a un ibrido come risultato finale. E ultimo riflesso di questo alone di sospetto è che, tutto sommato, le competenze continuano a essere limitate. Gli scenari del professor Savona sono strategici, ma sarei già soddisfatto se ci fosse una descrizione completa sulla filiera della contraffazione dalla Cina. Allora il tema credo sia come far considerare i Servizi come qualcosa di non sospettabile e non estraneo al sistema nazionale, e quindi di utile. Crecare di capire che cosa le varie articolazioni della nazione si attendono dai Servizi. Il Parlamento è una sede adeguata per affrontare questa riflessione, ma non vengano coinvolti i soli addetti ai lavori». Giuseppe Caldarola «Io credo che noi dobbiamo accrescere le ambizioni dell'intelligence, che devono interloquire con la classe dirigente, in un quadro di interesse nazionale definito. Bisogna quindi accrescere le specializzazioni, perché siamo ormai di fronte a un salto culturale complessivo. E dopo questa discussione siamo sulla buona strada, credo». Ernesto Savona «Le necessità di conoscenza nel mondo attuale sono sconfinate e le risorse destinabili a questo scopo sono poche. L'unico modo è mobilitare le conoscenze del Paese partendo dalle università. È un aspetto importante, se ci riusciamo abbiamo vinto la nostra battaglia». Alfredo Mantovano «Ci sono comunque dei nodi strutturali da sciogliere, per far sì che la riforma abbia un completamento. Non vorrei che a causa della scelta fatta dal Parlamento, due anni fa, ci areniamo sulle diseconomie interne al sistema dei Servizi che riprendono quelle già presenti, sul piano della sicurezza, tra polizia e carabinieri. Se ci sono due Servizi è inevitabile che non tutte le informazioni sono condivise, che ci sono sovrapposizioni e lacune. L'altro nodo strutturale è il reclutamento. Chi viene dalle forze di polizia ha una elevata professionalità, però ha fatto un altro mestiere. Se ha visto il ladro cerca di catturarlo, ma l'operatore dei Servizi non deve fare questo. Sull'altro lato il reclutamento nelle università apre tutto il problema dell'affidabilità istituzionale. Ma sono questi i due grandi nodi, affiancati da un terzo problema: il luogo comune che al sistema di Servizi si può inviare qualsiasi domanda e avere qualsiasi risposta. È profondamente sbagliato». Adriano Soi «Bè, se riusciamo a superare separatezza e sospetto possiamo inserire il sistema intelligence nel Sistema-Paese».