La Costituzione.
Iltema della riforma è stato spessissimo evocato, qualche volta tentato, quasi sempre eluso. Berlusconi, in modo particolare, non ha mai fatto mistero di considerare la Carta una formalità importante ma non necessaria. Va dato atto alla sua tenacia ed alla sua capacità di essere riuscito a trasformare la Repubblica e per certi versi la sua forma di governo senza bisogno di intervenire direttamente sulla Costituzione. Così è stato per l'indicazione sulla scheda elettorale del candidato premier e così è stato per altri numerosi piccoli ma incisivi dettagli. Ovviamente, non tutte le ciambelle riescono con il buco e non è un caso che in vicende politiche e legislative dirimenti la via ordinaria sia stata sbarrata dalla Consulta. La Carta può essere stiracchiata quanto si vuole (e non si può dire che non sia stata «stropicciata») ma non la si può cestinare facendo finta che non esista. Diciamo di più — e lo diciamo da queste colonne da tempi non sospetti —: la riforma costituzionale è la grande incompiuta di Silvio Berlusconi. La scelta della Corte di bocciare il Lodo tanto deve essere rispettata quanto può essere criticata. Siccome però il verdetto è stato emesso, non senza conseguenze nefaste per il clima civile e politico del Paese, il premier ha l'opportunità di far di necessità virtù. Il nostro sarà un retaggio d'antan, da prima Repubblica, ma consiglieremmo a Berlusconi di presentarsi alle Camere per rinnovare la fiducia del popolo attraverso i suoi legittimi rappresentanti e basarla su un grande progetto che impegni Camera e Senato per due anni: la tanto attesa Grande Riforma. Questo consentirebbe per esempio di intervenire sull'immunità parlamentare (tema efficacemente evocato da un campione di saggezza istituzionale quale Antonio Maccanico), sullo scudo per le alte cariche dello Stato, sulla formalizzazione di un premierato più o meno forte o temperato, sul rapporto con l'ordine giudiziario, sulla forma di Stato e quindi su quel federalismo distorto dalla precedente riforma del titolo V. Il presidente del Consiglio in questi quindici anni ha più vinto che perso le battaglie in cui si è impegnato. Ha sempre vinto o perso assumendosi la responsabilità delle sue scelte e molto spesso non ascoltando i consigli che pure gli venivano da persone a lui assolutamente fedeli. Siamo quindi consapevoli che un nostro suggerimento ha pressoché nessuna possibilità di essere preso in considerazione. Noi però insistiamo. E ci rivolgiamo al leader del principale partito italiano perché allenti un po' la corda che lo tiene legato ai suoi avvocati e la stringa invece attorno a chi vuole proporlo come statista. Dinanzi alla furia giudiziaria che temiamo si abbatterà su di lui, solo un grande sforzo, un grande progetto politico può rappresentare un argine solido. Pensare di intervenire solo con provvedimenti furbi per aggirare le leggi esistenti è una tattica che, ci mancherebbe, ha un suo pregnante senso. Ma sarebbe il segno di un premier che vuole ridurre i danni e cercare di scampare il pericolo. Al carattere ed alla storia di Berlusconi continuiamo a credere si addica meglio una strategia «alta» di modernizzazione del Paese e delle sue istituzioni. Un premier che governa e disegna in Parlamento un programma per i prossimi due anni ha decisamente più appeal di un premier che per difendersi incendia Roma e l'Italia. Chi lo sa se la sentenza della Corte può persino aiutare il centrodestra a ritrovare la bussola di un percorso politico. Lo speriamo.