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Aveva ragione quella malalingua di Winston Churchill.

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Einfatti i sedicenti addetti ai lavori che giorno dopo giorno hanno fatto previsioni più o meno fantasiose sul verdetto della Corte costituzionale, non hanno fatto altro che pestare acqua nel mortaio. Fino all'ultimo hanno favoleggiato di compromessi che stavano per intervenire tra giudici contrari al Lodo Alfano e giudici favorevoli ad esso. Il che, soggiungevano i suddetti competenti, spiegava l'allungamento dei tempi del giudizio. Già che c'erano, si spingevano al punto di azzardare il pronostico di un verdetto che avrebbe in qualche misura salvato capra e cavoli. Fuor di metafora, avrebbe assicurato lo scudo alle quattro massime cariche dello Stato - vale a dire ai presidenti della Repubblica, dei due rami del Parlamento e del Consiglio - e tutt'al più, in omaggio al principio di eguaglianza, avrebbe esteso la platea degli aventi diritto alla sospensione dei processi penali. Già, perché nella precedente pronuncia sul Lodo Schifani - sentenza numero 24 del 2004 - la Corte aveva osservato che c'era una disparità di trattamento tra i presidenti delle Camere e del Consiglio, coperti dallo scudo, e i parlamentari e i membri del governo, sprovvisti di una simile garanzia. Un'assimilazione però alquanto discutibile. Perché i presidenti delle Camere non fruiscono una indennità aggiuntiva, non bruscolini, per riscaldare due poltrone. Nossignori. Sono gli speaker, le "voci" del Parlamento. E hanno impegnativi compiti di rappresentanza. D'altra parte il presidente del Consiglio dal 1994 in poi non è più quel primo inter pares rispetto ai ministri dei quali parlavano i trattati di diritto costituzionale di una volta. Oggi il premier è, sì, ancora nominato dal capo dello Stato. Ma si tratta di una nomina per così dire obbligata. E questo perché il premier in definitiva gode di una investitura popolare. Non a caso diventa tale il leader della coalizione vincente. Se così stanno le cose, allora vale la consolidata giurisprudenza costituzionale, confermata anche dalla sentenza 24 del 2004. Per usare le precise parole della Consulta: situazioni diverse possono implicare differenti normative. L'impressione è che la Corte abbia aggiunto l'articolo 3 come semplice contorno, ancorché lo abbia evocato già nella precedente sentenza. Sia pure in maniera non persuasiva, come argomentato sopra. Il piatto forte che ha lasciato in braghe di tela le quattro massime cariche dello Stato è invece rappresentato dalla pretesa violazione dell'articolo 138. Nessuno nasce imparato, come si dice a Napoli. E allora sarà bene ricordare a chi non abbia una laurea in Giurisprudenza o in Scienze politiche che l'articolo 138 della Costituzione stabilisce procedure particolarmente onerose per l'approvazione di una legge costituzionale. In questo caso la Consulta non ha trovato di meglio che pestarsi i piedi. In occasione del giudizio precedente in effetti il tribunale di Milano ci aveva provato. Aveva sostenuto che il Lodo Schifani non aveva le carte in regola con la Costituzione in quanto regolato da una semplice legge ordinaria anziché costituzionale. Ma la Corte aveva fatto spallucce. Non aveva preso nella benché minima considerazione una censura del genere. Tanto è vero che al riguardo era stata muta come un pesce. Soltanto ora la Consulta si accorge che il Lodo Alfano non va più bene perché, al pari del Lodo Schifani, ha la veste della legge ordinaria e non già costituzionale. Ciò significa che dal momento del deposito di questa stupefascente sentenza, che lascia senza fiato, le massime cariche dello Stato si troveranno completamente indifesi davanti alla magistratura. E visto che i guai non vengono mai da soli, chissà per quanto tempo ancora la situazione sarà questa. Perché se per ipotesi il legislatore volesse assecondare i rilievi della Corte con una nuova disciplina legislativa, dovrebbe ricorrere a una legge costituzionale. Che non la si approva dall'oggi al domani. Così, contro ogni ragionevole previsione, si potrebbe dire che la ghigliottina cara ai giacobini torna in scena.

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