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Ai giudici manca il senso istituzionale

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seguedalla prima Achille Chiappetti* (...)riguardo al Lodo Schifani. Allora, essa diede per superato il supposto vizio denunciato da chi riteneva che la sospensione dei processi per le massime autorità dello Stato dovesse essere approvata con legge costituzionale e non con legge ordinaria. E, infatti, il Lodo Schifani fu bocciato solo per violazione del principio di uguaglianza.. Fu una sentenza abnorme. La Corte, infatti, ammise che il trattamento di maggiore tutela delle più alte cariche dello Stato è giustificato. Ma annullò il Lodo Schifani per tre elementi minori lesivi del principio di eguaglianza, affermando: 1) che la tutela non era stata applicata solo ad organi politici, ma estesa anche al Presidente della Corte Costituzionale; 2) che il lodo non era previsto per tutti gli organi politici che avrebbero meritato di goderne; 3) che non fosse stata prevista la facoltà di rinunciare alla tutela. La sentenza apparve assurda e politicizzata, dato che i motivi sui quali si fondava ben avrebbero potuto portare, come avviene di norma, ad sentenza interpretativa di rigetto e consentire la sopravvivenza del Lodo e la correzione di disposizioni di dettaglio illegittime. Perciò il Parlamento ha approvato il lodo Alfano aderendo alle indicazioni della Corte. Ha escluso il Presidente della Consulta e ha previsto la rinunciabilità della tutela da parte degli interessati. Era dunque logico attendersi una sentenza di rigetto che avrebbe salvato il lodo, tutt'al più con qualche integrazione o correttivo. Ora… sorpresa! Questa volta la Consulta ha annullato il lodo Alfano sostenendo che occorreva una legge costituzionale e ancora che è violato il principio di eguaglianza. Una pronunzia sconvolgente. Va aggiunto, inoltre, che i vizi rilevati non esistono. In effetti la tutela delle massime cariche dello Stato contro possibili attacchi di singoli magistrati politicizzati, la cui legittimità è stata già riconosciuta dalla Corte, ha un preciso fondamento costituzionale. Si tratta delle norme sulla separazione dei poteri e sulla stabilità ed efficienza dei supremi organi costituzionali. In altre parole, la deroga -se di deroga si tratta- al principio della soggezione dei cittadini al processo penale si fonda sui principi costituzionali e sulle disposizioni (artt. 67, 68, 70, 87 e 95 Cost.) che mirano al funzionamento delle istituzioni dello Stato. E poiché tale "deroga" è solo attuativa di quanto già desumibile dalla Costituzione, essa ben può essere adottata con legge ordinaria. Per rendersi conto dell'inesistenza della supposta violazione dell'art. 3 Cost., basta ricordare ciò che qualsiasi studente sa. Tale disposizione non vuole l'egualitarismo, ossia un identico trattamento per tutti i cittadini. Il principio di eguaglianza comporta che devono essere trattati in modo eguale tutti coloro che si trovano in situazioni uguali e in modo diverso coloro che si trovano in situazioni diverse. Se così non fosse sarebbe illegittima la legge che prevede, per esempio, che quando un medesimo reato viene compiuto da un adulto o da un minorenne le conseguenze penali siano del tutto diverse. Ed è indubbio che vi sono ampie ragioni perché le più alte cariche operative dello Stato debbano essere tutelate durante il loro mandato da iniziative giudiziarie che possono anche essere mirate ad impedire lo svolgimento delle funzioni istituzionali. Anzi è un'esigenza di supremo interesse nazionale. Un tempo occorreva difendere il Parlamento dall'esecutivo; oggi occorre difendere il Governo dalle schegge impazzite del giudiziario. La caduta del Governo Prodi non ha insegnato nulla agli antiberlusconiani e alla Corte manca da tempo una visione istituzionale. Ma si spiega: essa riproduce malamente con nove voti contro sei la frattura del Paese. *Ordinario di diritto pubblico alla Sapienza

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