Quelli che inventano l'inciucio
Sono quelli che dovrebbero salvare l'Italia. Avviare il dopo Berlusconi, riunificare gli opposti, pacificare i rissosi. Sono quelli che negli ultimi mesi si sono proposti — o sono stati tirati per la giacca — per ricoprire il ruolo di presidente del consiglio, e di leader, al momento della caduta di Berlusconi. Evento che, nelle loro previsioni, deve sempre accadere a breve, brevissimo. Il giorno dopo. Sono Francesco Rutelli, Pier Ferdinando Casini, Luca Cordero di Montezemolo, Mario Draghi. E, perché no, Gianfranco Fini. Tutti insieme hanno spinto, proposto, sperato. Invece, come dimostrano i sondaggi, dopo Berlusconi, almeno in questo momento, c'è solo Berlusconi. Non c'è spazio per un ipotetico governo tecnico, un Grande Centro, alleanze trasversali. Così tutte le dichiarazioni «sparpagliate» in decine di agenzie negli ultimi mesi si sono rivelate assai poco credibili. Il più «assiduo» di tutti è stato Francesco Rutelli. Nelle innumerevoli presentazioni del suo libro «La svolta, lettera a un partito mai nato», l'ex sindaco di Roma ipotizza, qualora cada questo governo, un esecutivo istituzionale con un rimescolamento dei partiti perché «il centrodestra ha troppo Bossi, troppa Lega che comanda, mentre il centrosinistra, se il Pd diventa di sinistra, non può essere un candidato credibile all'alternativa di governo». Rutelli non lo dice ma la figura alla quale più pensa — e si pensa — per guidare un governo di questo tipo è Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia. Peccato che proprio ieri il suo nome sia stato fatto per succedere a Jean Claude Trichet alla guida della Bce. Insieme al presidente della Bundesbank Axel Weber. Un altro che gioca a lanciare il sasso e poi nasconde la mano è Luca Cordero di Montezemolo. Ogni volta che viene tirato in ballo un ipotetico Grande Centro compare il suo nome. Lui, il presidente della Ferrari, un po' si schermisce un po' lascia fare. Intanto però ha creato la Fondazione «Italia futura» che oggi a palazzo Colonna a Roma ha promosso un convegno dal titolo «L'Italia è un Paese bloccato. Muoviamoci!». Ma di entrare in politica per ora non ne vuole sentir parlare. E ieri, a chi gli chiedeva ancora una volta se fosse disponibile a bere «l'amaro calice», ha risposto sornione con una battuta: «Non parlo di cose che non ci sono, preferisco parlare di cose serie. Ma ora scusate ho fretta... devo andare al Consiglio dei Ministri». Al suo convegno però, oggi, ci sarà anche Fini. Il presidente della Camera ha vissuto un'estate in prima fila nel dibattito sul dopo Berlusconi. Un po' per sua stessa volontà un po' per colpa di chi, nel Pdl, ci ha speculato. Il contrasto con il premier è stato letto come un tentativo di fargli uno sgambetto e accreditarsi come suo successore. Magari in un governo con Montezemolo e Pier Ferdinando Casini. Ma Fini, quando è stato il momento, ha sgombrato il campo da illazioni e fantapolitica: sto con Berlusconi — ha spiegato lunedì — non sono disponibile a governi o «governicchi». Insomma, le chiacchiere, ancora una volta, stanno a zero.