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Pace, l'uomo che voleva vincere il Mundialito

L'avvocato Alessandro Pace

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«La prima causa contro Berlusconi? Fu quella per il Mundialito, 1981». Brillano gli occhi ad Alessandro Pace, l'avvocato che ha rappresentato le istanze della Procura di Milano davanti alla Corte Costituzionale. Se decidesse di scrivere un libro, l'avvocato avrebbe già bell'e pronto il titolo: una vita contro Silvio. Oppure: le mie battaglie contro il Cavaliere. Mentre attende di sapere se potrà essere ammesso all'udienza, il presidente dei costituzionalisti italiani s'aggira nelle sale della Consulta. E con un filo di soddisfazione elenca le mille volte che ha sfidato Berlusconi in un'aula di tribunale. Si comincia appunto con quella battaglia di 28 anni fa quando TeleMilano per la prima volta arrivò a sfidare la Rai per trasmettere le partite di quel torneo di calcio che disputò in Uruguay. Pace c'era, fu il consulente di viale Mazzini a cui fornì gli appigli legali per fermare la scalata di quella che sarebbe diventata Canale 5 e poi la Fininvest. Poi tornò alla carica nel 1984. Questa volta in discussione ci sono le frequenze tv. Fa la battaglia alla legge Mammì, varata nel 1990. E la vince visto che nel '94 una parte viene dichiarata incostituzionale. Negli anni Novanta conduce tutte le guerre al fianco dell'allora Telemontecarlo. E di nuovo difende Francescantonio Di Stefano e la sua Europa 7 che, ottenuto il diritto a trasmettere, aspetta di avere le frequenze. Contesta la legge Gasparri. Elenca uno dopo l'altro trenta anni di battaglie legali, ricorsi, istanze, ricusazioni. Sempre e soltanto contro una persona, Berlusconi, e contro le sue aziende. Vince ma soprattutto perde. Anche ieri la sua istanza è stata dichiarata inammissibile. E non fa mistero, non nasconde le sconfitte. Si giustifica: «Qui è come l'Iliade e l'Odissea. Fin quando la battaglia è rimasta al livello degli umani, ho sempre vinto. Quando il livello è diventato quello degli dei, eh capirete bene, ho perso». Naturalmente non gli sta bene la sconfitta. E, uscito dalla sale delle udienze, rilancia: la ricusazione e l'astensione dei giudici della Corte Costituzionale «dovrebbe essere introdotta», mentre il loro divieto ora esiste «solo perché lo prevede una norma integrativa della Corte, non perché lo preveda la legge». Il riferimento, nemmeno troppo velato, è alla cena a casa del giudice Luigi Mazzella, alla quale, lo scorso maggio, parteciparono un'altra «toga» costituzionale, Paolo Maria Napolitano, il premier Silvio Berlusconi, il Guardasigilli Alfano e, tra gli altri, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. «No che non mi sono stupito. Ricordo - racconta Pace - che nel settembre del 1994, alla vigilia della sentenza della Consulta che dichiarò l'illegittimità della legge Mammì, Berlusconi fu ricevuto dal presidente della Corte Costituzionale di allora...». Prende un attimo di pausa: «Me lo raccontarono amici giudici, la cosa allora non passò inosservata. Berlusconi ha sempre fatto così. Anche un'altra volta venne ricevuto da un alto magistrato». L'ultimo invito ai giornalisti è di andarsi a leggere un libro che lui scrisse alcuni anni fa. Su che cosa? Ma naturalmente sull'articolo 21, ovvero sulla libertà di espressione sancita dalla Costituzione.

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