Il giorno più lungo del Cavaliere
E il Pdl prepara la leggina riparatrice
Un altro giorno di attesa. Silvio Berlusconi dovrà aspettare ancora per conoscere il verdetto della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano e, quindi, il suo futuro. Potrebbe arrivare stasera. O domani mattina. O magari a fine mese. L'incertezza regna sovrana. L'udienza pubblica di ieri non ha offerto indicazioni sulle intenzioni dei 15 giudici costituzionali. Anche se il clima è apparso sereno. E chissà se è di buon auspicio il grande quadro che, entrando nella sala delle udienze del Palazzo della Consulta, balza all'occhio sulla parete laterale. Quella davanti alle finestre che affacciano su piazza del Quirinale. Una decollazione di Giovanni il Battista. Con Salomè che mostra orgogliosa la testa del santo. Un modo un po' brutale di fare giustizia, ma né gli avvocati difensori di Silvio Berlusconi, né i 15 giudici della Corte Costituzionale, ci hanno fatto molto caso. Niccolò Ghedini è stato il meno loquace tra gli avvocati del premier, Piero Longo ha cercato di scambiare con lui qualche battuta ricevendo solo risposte stringate, molto più sciolto Gaetano Pecorella che si è concesso volentieri alle domande dei giornalisti. A destra del terzetto sedeva l'avvocato dello Stato Glauco Nori, che è arrivato per ultimo e si è informato subito sul tempo a sua disposizione. «Abbiamo pensato di parlare 15 minuti a testa» gli ha spiegato Ghedini. «Non parlerò di più» ha assicurato Nori. A sinistra, invece, Alessandro Pace presidente dei costituzionalisti italiani. La sua, però, è stata solo una breve comparsata. Doveva rappresentare le procure di Roma e Milano nel giudizio di costituzionalità, ma la Corte non ha ammesso la sua presenza e Pace se ne è andato sconsolato. I quindici giudici costituzionali, invece, sono apparsi imperscrutabili. Dopo il minuto di silenzio per le vittime del nubifragio di Messina, si sono seduti nelle loro poltrone stile Luigi XV. Il presidente Francesco Amirante ha lanciato qualche timido sorriso, altri hanno annuito mentre parlavano gli avvocati del premier. Ma è poco per potersi sbilanciare sull'esito finale. C'è stata anche l'occasione per ironizzare sulla gaffe del relatore Franco Gallo che, riassumendo lo stato dell'arte, si è lasciato sfuggire un «primus inter partes» al posto di «pares». E i colleghi, sghignazzando, non si sono lasciati sfuggire l'occasione di farglielo notare. «Capita anche questo», ha replicato il diretto interessato. Insomma se non fosse per le polemiche di queste settimane, se non fosse che da questo giudizio potrebbero dipendere le sorti del governo, quella di ieri potrebbe essere un'udienza qualsiasi. Gli avvocati hanno portato avanti una linea difensiva chiara: chi riveste alte cariche istituzionali non può fare l'imputato. E comunque, quella prevista dal lodo, è una sospensione dei processi non un'immunità. Tra l'altro, hanno fatto notare, il Parlamento ha seguito le indicazioni che la Corte offrì nel 2004 bocciando il lodo Schifani. I giudici costituzionali hanno preso appunti, dimostrando la massima attenzione. Poco prima di pranzo l'udienza è terminata. In calendario, però, c'erano altri cinque procedimenti così, solo nel tardo pomeriggio, la Consulta si è chiusa in camera di consiglio nella saletta pompeiana. Alle 19 è arrivata la comunicazione che il verdetto sarebbe slittato. La seduta è stata aggiornata a stamattina alle 9.30. L'ipotesi più probabile è che il Lodo venga approvato ma ne venga cassata una parte. A Palazzo Chigi sono convinti che la Corte potrebbe bocciare la sospensione dei processi per i presidenti di Camera e Senato. Questo infatti produrrebbe, spiegano fonti vicino al premier, una disparità rispetto agli altri membri del Parlamento. E non è un caso che ieri, durante la sua "arringa", Pecorella abbia insistito soprattutto su un punto: il presidente del Consiglio non è un primus inter pares anche perché, a differenza dei ministri, viene eletto direttamente dal popolo.